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Politica
Pd, il pamphlet di Renzi divide. Matteo emulo di Bettino?

Di Massimo Falcioni

 

Nel Partito democratico, più che discutere, continuano a menarsi fra loro, come quei pugili suonati che dopo aver perso tutti gli incontri “titolati” insistono a darsele di santa ragione anche fuori dal ring. Sembra davvero un’altra era dimenticata quella del maggior partito della sinistra italiana che d’estate impastava piadine con politica e cultura confrontandosi sui grandi temi nelle migliaia di Feste de l’Unità, insieme a militanti, amici e avversari. Il Pd ha evitato la disfatta elettorale, ma tiene per “disperazione” poco sopra il 20% perdendo anche molte delle sue roccaforti storiche. C’è scontento alla base e ai vertici niente si dà per scontato. Approfittando dell’immobilismo di Zingaretti, Renzi ha pensato bene di farsi sentire tirando il sasso, anzi un pietrone, usando lo strumento della lettera al quotidiano La Repubblica. Il “J’accuse” di Renzi (privo di qualsiasi accenno autocritico) al Pd (“pavido su jus soli e migranti”) è la base di quel che vorrebbe essere un documento politico-programmatico: i tre squilli di tromba che annunciano il ritorno in campo dell’ex rottamatore. Come nel classico “parlare a nuora perché suocera intenda” Matteo “spara” su Salvini ma nel mirino c’è Zingaretti e la nuova e la vecchia leadership piddina cui si addebitano tutti gli errori passati e presenti, certo di non avere colpe personali e anzi di aver subito danni per la guerra intestina e i colpi bassi dei soliti noti. Così, non sfugge l’intento provocatorio di chi cerca il casus belli per buttarla in caciara e magari sbattere la porta avviando l’ennesima scissione. Nel vuoto pneumatico del Pd zingarettiano, anche un semplicistico pamphlet come questo può apparire come un segnale che il partito c’è. Di sicuro c’è Renzi e ci sono i renziani, in giro per l’Italia soprattutto – come ha detto ieri in un circolo presso l’Urbe la mai doma Maria Elena Boschi - “per capire cosa facciamo noi e dove andiamo noi renziani della prima ora”. Nessuno invoca o minaccia scissioni, ma “tessera in mano” i comitati di Renzi ci sono, pronti a tutto, anche per la resa dei conti finale. Non entriamo qui nel merito dello scritto di Matteo, non privo di interesse pur con evidenti limiti e contraddizioni. Basti pensare alla questione immigrazione (per Renzi “non è un’emergenza”) e al braccio di ferro Salvini-Carola, con l’ex rottamatore pro “capitana” e anti “capitano. Come dire, posizione legittime ma fuori dalla realtà. Gli italiani ritengono tutt’ora la questione immigrazione “prioritaria”, persino più della crisi economica e del lavoro. Sull’ultima vicenda Sea-Watch Salvini avrebbe guadagnato 500 mila voti, un punto percentuale. Nei giorni della nota vicenda, in un sondaggio a caldo: “Stai con il Capitano o con la Capitana”, con Salvini sta il 90%, con Carola il 10%. Sono dati certificati da sondaggi Mannheimer. Un emigrante è un caso umano, milioni di emigranti sono una invasione. La questione è politica, a livello europeo e mondiale, non solo italiana. Una matassa aggrovigliata che gli italiani, specie in alcune realtà, collegano al tema sicurezza, subendone i risvolti negativi. E’ solo un esempio di come il Pd e lo stesso Renzi siano fuori dalla realtà, contromano rispetto agli italiani. Non è così – lo avevano già ammonito Gramsci, Sturzo, Dossetti, Einaudi - che si arginano le malattie contagiose delle democrazie contemporanee: l’antipolitica, il populismo, il plebiscitarismo. Nel suo “J’accuse”Renzi si limita per lo più all’uso della propaganda e della polemica spicciola. Dov’è lo spessore teorico-politico-culturale di Bettino Craxi che, per riscattare il Psi dalla storica sudditanza culturale e politica nei confronti del Pci e scettico sul tentativo di rinnovamento dei comunisti italiani avvia una dura polemica ideologica, ne smonta addirittura l’impalcatura teorica tanto da contrapporre l’eretico sconosciuto Proudon ai santificati Lenin e Marx mettendo all’angolo Berlinguer e il suo Pci? Per quelli della Leopolda resta attuale il monito di Giorgio Amendola: “Le rivoluzioni non si fanno con le barricate di latta”. E’ vero, l’ex democristiano Matteo tentò una “rifondazione” neo centrista di quel che restava dell’ex Pci e dell’ex Dc, rottamando maldestramente e ingenuamente, per questioni di potere, gli ex comunisti. In effetti la Leopolda ammaliò non pochi, rilanciò il Pd ma contestualmente ingurgitò i germi che poi lo hanno portato nel tunnel, travolgendo per primi Renzi e i suoi. Alla prova del budino, quella degli anni al governo, il Pd ha fallito, cercando il consenso non intorno a un vero progetto riformatore ma intorno a interessi clientelari e di parte, non certo a favore dei ceti più deboli. Nel 2013 Renzi ha conquistato il Pd trasformandolo da oligarchico in monarchico. Oggi tenta la ripartenza senza far tesoro degli errori già commessi alimentando le ragioni delle divisioni piuttosto che quelle dell’unità. Così questo Pd resta un guscio di raccolta di cose indistinte, per lo più scartate dalla maggioranza degli italiani. Pd, cos’è?  Non è un partito di sinistra, non è un partito di opposizione, non è un partito di governo. Così, non ha futuro. Anche Renzi lo sa.  

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