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Pd, inchiesta in Umbria: “tegola” per Zingaretti
LaPresse

L’inchiesta sulla sanità in Umbria, con un assessore e il segretario regionale Pd agli arresti domiciliari e con la governatrice indagata, è una tegola in faccia per Zingaretti, una “bomba” deflagrante sul suo partito. A un mese e mezzo dalle elezioni del 26 maggio il Pd rischia di crollare in una delle sue regioni simbolo, con possibili effetti devastanti ben al di là dei confini territoriali. Mentre le solite “anime belle” della sinistra sperano che le risse fra Di Maio e Salvini mettano ko il governo e fanno a gara nell’insultare il leader leghista accusato stavolta di tradire la Costituzione perchè “indifferente all’antifascismo” dopo la sua pur discutibile affermazione: “Il 25 aprile sarò a Corleone in Sicilia… Quel giorno ci saranno i cortei dei partigiani, dei rossi, dei gialli, a me interessa poco il derby fascisti-comunisti…”, il Partito democratico subisce una nuovo durissimo colpo alla sua già traballante immagine, sinistro campanello d’allarme per le urne di maggio. La vicenda dell’Umbria segue quella – pur diversa ma non meno inquietante – di pochi giorni addietro con il presidente della Regione Puglia, il magistrato Michele Emiliano, indagato insieme al suo capo di gabinetto Claudio Stefanazzi per induzione indebita, compiuta da Emiliano in concorso, e le false fatturazioni emerse per giustificare il pagamento a un’agenzia di comunicazione incaricata dal governatore di curare la sua campagna elettorale per le primarie del Pd nel 2017. Indagati anche gli imprenditori Ladisa e Mescia che avrebbero pagato (per il governatore) la stessa agenzia.

Non entriamo nel merito di come nel Pd si fanno campagne elettorali, si conquistino voti, con il (legittimo) supporto esterno di “professionisti” della comunicazione e con quello (meno legittimo) di soldi dati da imprenditori evidentemente interessati ai giochi di potere nei partiti e nelle istituzioni. Tanto meno entriamo nelle due vicende giudiziarie e nel loro iter, oggetto del lavoro delle Procure. Qui interessa il dato politico, specie in riferimento ai fatti dell’Umbria, dove c’è la ennesima conferma che Pd e sinistra sono stati e sono tutt’altro che esempio di “buongoverno”.

Non solo. Anche all’epoca di “Mani Pulite” nei partiti non sotto la mannaia delle inchieste giudiziarie si “fregavano le mani” quando toccava agli avversari subire il forcing delle procure e all’interno stesso di ogni singolo partito c’era chi brindava all’annuncio che un collega della stessa “parrocchia” era finito nella rete di Di Pietro&C. Da sempre, la lotta politica fra i partiti e dentro i singoli partiti si fa non badando al metodo né alle regole: ben vengano gli “aiutini” esterni, compresi quelli che – indirettamente – possono provenire anchedalla Magistratura! Ora, nel Partito democratico, una parte – quella legata alla leadership di Zingaretti – è in allarme e “trema” per la vicenda in Umbria e per i suoi possibili risvolti anche nazionali e un’altra parte – quella contraria al nuovo corso zingarettiano, con in testa i renziani - si frega le mani dalla contentezza certi che alle urne la nuova leadership pagherà il fio e dopo si andrà all’ennesima resa dei conti interna.

La controprova viene in queste ore dalla vicenda delle candidature per le elezioni del 26 maggio chiusa nella Direzione dell’11 aprile con un partito lacerato sui nomi nel balletto ricattatorio delle correnti, senza un programma di governo europeo e di alternativa in Italia. Il Pd fa girare il disco rotto contro le destre, contro i populisti, in particolare contro Salvini. Perduto il governo, messi ko dal voto del 4 marzo 2018, sconfitti in tutte le elezioni parziali successive, tutti presi dalle infinite beghe congressuali, anche con l’avvento alla segreteria di Zingaretti, nel pidì pontificano e bacchettano senza avere l’autorità morale e l’autorevolezza politica. Zingaretti, con il Pd in stato di isolamento, ha fatto salire il suo partito nel trenino di “Siamo Europei”, puntando vagamente a sinistra, di fatto avviando solo una operazione elettoralistica, non priva di rischi. Il Pd, al di là dei bla-bla, non ha un programma credibile e fattibile sugli interventi economici e sulle misure sociali da far valere come socio di “Siamo Europei”e tanto meno ha un suo progetto politico su quale nuova Europa costruire dopo il voto. Alla vigilia delle urne il rincorrersi di indagini, perquisizioni, arresti di esponenti del Pd rischia di far deragliare il trenino di “Siamo Europei”. Zingaretti, non potendo fare altro, ripete banalmente di rispettare il lavoro della magistratura. Basterà per evitare al Pd nel caos, il tracollo?

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