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Politica
Pd-M5S, matrimonio salva-governo o scassa-sinistra?

 

Adesso Zingaretti rompe gli indugi, fa un altro passo avanti nel rapporto fra Pd e M5S puntando a trasformare l’attuale patto in una “alleanza organica” fra i due partiti al governo, soprattutto in funzione anti Salvini e anche in funzione anti-Renzi. Così si tende ad andare oltre gli accordi territoriali già raggiunti per le prossime regionali in Umbria imprimendo una spinta per nuove alleanze anche in Calabria e soprattutto in Emilia-Romagna, un voto emblematico e dai possibili risvolti nazionali. Quello del segretario del Partito democratico è un salto di qualità tattico e strategico passando da un accordo di basso profilo pro tempore su un programma circoscritto imposto dalla circostante per stoppare Salvini a un accordo politico esplicito e a tutto campo. Insomma, Zingaretti scopre le carte, non si “vergogna” più del fidanzamento di “interesse” avviato con il M5S meno di due mesi fa, già pronto a convolare a nozze con il partito di Di Maio.

Sano realismo politico o volo pindarico? Quando si decide il gran passo del matrimonio evidentemente vuol dire che la prova del fidanzamento è andata bene. E’ così anche fra Pd e i 5Stelle dopo il parto del Conte bis? L’alleanza di governo, se pur tenuta col cerotto, regge. E regge soprattutto grazie all’avveduto premier Conte, abile nel dirigere l’orchestra sgangherata con mano d’acciaio in guanto di velluto. Nei due partiti le acque restano mosse. Nel M5S, Di Maio si agita per recuperare la sua traballante leadership interna (i 5Stelle sono reduci da una serie di sconfitte elettorali e dal crollo nei sondaggi) dimostrando che il M5S nell’esecutivo giallorosso fa passare quel che vuole, con l’ok più o meno sofferto di Zingaretti&C. Nel Pd, soprattutto alla base, si annidano malessere e malumori.

Se c’erano dubbi, prima la legge di bilancio di corto respiro, poi la nuova legge del taglio dei parlamentari – una riforma anticasta che può sfociare nel suo contrario con l’elezione di una supercasta blindata -  hanno chiarito che è il M5S a dettare le danze mettendo con le spalle al muro il Partito democratico, l’anello debole della coalizione tenendo anche conto che sulla base delle elezioni del 4 marzo 2018 il Pd pesa elettoralmente la metà dei 5Stelle. Una situazione di forte e crescente disagio che si riflette anche negli ultimi sondaggi (stima per Affaritaliani.it di Mannheimer), con il Pd in ribasso (18,5%) staccato di due punti dal M5S stabilizzato (20,5%), e comunque con la Lega sempre in vetta (30%). Salvini perde sì penne per i suoi errori dello scorso agosto, ma l’elettorato non lo abbandona confermando il “Capitano” quale portabandiera per arginare una sinistra senza identità e male assortita e andata al governo senza il passaggio elettorale – per gli avversari un blitz di Palazzo - con i “grillini” che impongono la loro musica. Questo è il punto. Le poche riforme marcate Pd restano nel libro dei sogni mentre il M5S applica la propria agenda basata sull’ideologica iniziale del binomio Casaleggio-Grillo che vede nei partiti la fonte di ogni male indicando la soluzione nel superamento della attuale democrazia rappresentativa per approdare alla democrazia diretta (attraverso il web), riducendo al lumicino il ruolo di partiti e parlamento.

Non si tratta di ardite elucubrazioni di perditempo da tastiera bensì di un progetto ideologico tradotto in scelte politiche, pur gradualmente e a zig-zag dato il complesso assetto politico-costituzionale italiano, da un partito al governo del Paese. Se il buongiorno si vede dal mattino, dopo il taglio dei 345 parlamentari fra senatori e deputati, non può non sollevare interrogativi lo show dei pentastellati davanti a Montecitorio  con forbici taglia poltrone e striscioni inneggianti all’anti politica, una prova di forza (pur senza popolo) che richiama un fosco passato, una comparsata da far rivoltare nella tomba Berlinguer ma anche Moro.

E qui si torna alle elezioni regionali, al primo round in Umbria con il candidato “civico” del fronte governativo, un imprenditore già in odore leghista che si vanta di essere un “tecnico” annunciando una giunta di “tecnici” supportato dalle dichiarazioni di Di Maio: “La politica deve restare fuori dalla Regione” quando l’Ente ha anche poteri legislativi ecc. Pure in questo caso, per timore di rimanere isolato e di perdere il potere, il Pd ingoia il rospo, con buona pace della propria identità sempre più scolorita a vantaggio di quella dei 5Stelle, i nuovi compagni di viaggio senza i quali addio potere addio poltrone.

Vista la malaparata, Zingaretti rilancia proponendo ai 5Stelle il matrimonio. Così le prossime elezioni regionali rivestono valore politico ben oltre i confini territoriali. Se la ritrovata alleanza di centrodestra esce sconfitta dalle urne, poco cambia. Ma se la sinistra perde in Umbria e addirittura poi in Emilia-Romagna, la maggioranza di governo Pd-M5S si scolla, con effetti dirompenti sull’esecutivo. Fra due settimane, il 27 ottobre, il primo match ball.

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