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Politica
Pd, Renzi prepara la tagliola

di Massimo Falcioni

Per decenni le battaglie dentro la sinistra tenevano col fiato sospeso gli italiani, dividendoli come nello sport fra i fan di Coppi e quelli di Bartali. Fu così nello scontro fra Togliatti-il Migliore e Nenni-Rosso antico sul primo centro-sinistra; nei singoli partiti fra Craxi e De Martino nel Psi del Midas; fra Natta-Berlinguer e gli “eretici” del Manifesto Pintor-Rossanda-Natoli; fra Amendola-destra e Ingrao- sinistra comunista e poi fra Berlinguer e Cossutta sullo strappo con l’Urss, su su fino agli scontri del dopo Bolognina fra Occhetto e gli allora giovani D’Alema, Veltroni, Mussi. La miccia si accendeva ai vertici ma la lotta politica si estendeva alla base dei partiti, impegnando milioni di cittadini su grandi, chiare opzioni alternative: questo o quello, o di qua o di là. E adesso? Qualche schiamazzo nei talk-show, frecciatine di carta sui social network, dichiarazioni sui giornaloni di guerre annunciate e mai fatte. Solo fuffa. L’ultimo esempio viene dalla “Sinistra riformista” del Partito democratico che ieri a Perugia ha avviato la sua tre giorni di riflessione con Roberto Speranza nascosto dietro una foglia di fico: “Vogliamo occuparci dell’Italia e del mondo e non delle nostre beghe interne. La nostra sfida è dentro il Pd, senza ambiguità”.

Così la minoranza cerca di non tenere in mano il “cerino acceso” della scissione evocata poche ore prima a gran voce da Massimo D’Alema che, però, isolato, vista la malaparata, in serata conferma le critiche a Renzi e al pidì ma fa un mezzo passo indietro: “Lasciare il Pd? I giornali scrivono cretinate”. Roberto Speranza, il padre nobile Reichlin, lo stesso Bersani avevano tarpato le ali alle velleità di rivolta antirenziana del lider Maximo : “Teniamo tutti e due i piedi nel Pd”. Con il finale di Pierluigi sul patetico: “Quelli della mia generazione non hanno bisogno di essere rottamati, non abbiamo niente da chiedere. Io dico solo chiedimi chi erano i Beatles, basta. Punto”. Ecco, punto. Contrordine, compagni. Renzi non ci va bene ma ce lo teniamo lo stesso, il Pd non ci va bene ma lì siamo e lì restiamo. D’Alema divide, vuol fare terra bruciata e portarci nel deserto impedendo di costruire l’alternativa dentro il Pd che era, resta e sarà sempre il “nostro” partito. E’ il solito refrain: lanciare il sasso ritirando la mano nel timore di essere etichettati come “gufi”, i guastatori del tanto peggio tanto meglio, accusati della scissione, l’eterno tabù della sinistra artefice delle fratture sempre rifiutate ma poi sempre realizzate fuori tempo e fuori tema con l’unica eccezione del .. 1921 a Livorno. Insomma, chi rompe paga e i cocci sono suoi.

A sinistra, la solita sceneggiata. Invece di dar vita alla luce del sole a una lotta politica di merito sui limiti del Pd e del governo ci si rifugia nel bla-bla di bottega limitandosi a scrivere grandi e dotti documenti che nessuno leggerà mai. La requisitoria di D’Alema contro Renzi e i vertici del partito, preannunciando di fatto la scissione nel Pd (“ Il Pd è già un partito della Nazione. Serve un centrosinistra alternativo a Renzi – ha tuonato l’ex premier - e non un partitino”) pare già sfarinarsi al primo sole di primavera, anticipando nuove frustrazioni, nuove lacerazioni, nuovi colpi bassi e agguati. Al di là di tatticismi che lasciano il tempo che trovano e di obiettivi strategici roboanti infarciti di ingenuo idealismo: “ricostruire un pensiero e rigenerare una visione capace di interpretare il tempo in cui viviamo” il meeting alla Posta dei Donini cerca comunque di tessere - quanto meno nei corridoi- una “linea” di aggregazione di tutti gli scontenti nel Pd per una lotta di “resistenza” interna anche in vista della Direzione nazionale del partito convocato il 21 marzo, dove Renzi vuol chiudere la partita e, se serve, giungere al “redde rationem”.

La linea di Speranza- Bersani&C è tracciata: scontenti e critici ma non rivoltosi e distruttivi; Pd da ricondurre ai principi fondativi di “sinistra”, salvandolo non cancellandolo; Renzi “solo” premier affidando il partito a una figura super partes. E così via, in un rosario fra buoni propositi e pie Illusioni, fra sano realismo e infantilismo politico. A Perugia si possono già spegnere le luci, la festa è finita, la rivoluzione rinviata. La maggioranza tira un sospirone di sollievo. Renzi gongola. Contro gli irriducibili è già partito un fuoco di sbarramento a difesa del premier- segretario e del suo “cerchio magico”. Mentre a Perugia Speranza e i suoi si destreggiano nel trapezio puntando al Sol dell’avvenire il ben più deciso e pragmatico Renzi – come anticipato ieri da Affaritaliani – affila il dardo avvelenato anti- minoranza: una semplice frase da approvare forse già il 21 marzo in Direzione che stana e inchioda i “dissidenti” veri o presunti: “ I parlamentari e gli iscritti al Partito Democratico si impegnano a rispettare le decisioni prese dalla maggioranza del partito". Di fatto, si tratta dello strumento attraverso il quale il segretario dem potrà cacciare chi non dovesse rispettare le decisioni dei vertici del Nazareno. Una tagliola.

Un vero e proprio out-out: o accettare in toto la linea della maggioranza dettata dal segretario o fuori dalla porta. Un mix fra il Centralismo democratico del Pci e il Gran consiglio del Partito del Duce. E adesso? Dopo la convention di Perugia tutto tornerà come prima, con più rancore, più sfiducia l’uno nell’altro, più insofferenza di prima. Da separati in casa, ognuno difenderà la propria stanza fino all’ultimo angolino e la propria roba fino all’ultimo tozzo di pane sapendo che, aperta la guerra che comunque si aprirà senza proclami ufficiali, non si faranno prigionieri e chi perde verrà sbattuto fuori, nudo e crudo. Le elezioni comunali di giugno e poi il referendum costituzionale d’autunno costituiranno la resa dei conti finale fra maggioranza e quel che resta della minoranza del pidì illusa che sia possibile “lavorare nel Partito democratico per l’alternativa a Renzi”. Come avvisare la volpe che andrai a stanarla. Un film già visto. Finale scontato?

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