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Politica
Pd, stavolta passa l'ultimo treno

Di Massimo Falcioni

Con le primarie al 30 aprile che fanno tramontare la possibilità delle elezioni politiche anticipate a giugno nel Pd tirano tutti un sospiro di sollievo. Il motivo c’è. La tempesta nel bicchier d’acqua di domenica scorsa all’assemblea nazionale capitolina ha lasciato il Partito democratico ammaccato e in confusione con i contendenti passati da separati in casa col mugugno a nemici dichiarati con linciaggi reciproci. Così si è consegnata agli italiani l’immagine di un partito sfarinato e destabilizzante, chiuso nei rituali ipocriti del palazzo e di una politica da ring, fine a se stessa. Lo stesso Renzi ha bisogno di tirare il fiato e recuperare l’immagine deleteria del bambinone viziato sfasciatutto tentando di riprendere, con maggior realismo, la via maestra della politica. Poi, con il vento in poppa del trionfo (annunciato) di primarie e congresso, riassestato il partito, spuntate le lance di chi lo accusava di voler subito il ko del governo, Renzi può tornare a tessere la tela sfilacciata della rivincita, correndo deciso al voto anticipato in autunno. Questo, nei desiderata del “rottamatore” che, con l’ok delle primarie al 30 aprile smette ob torto collo i panni del lupo per tramutarsi, se non in agnello, almeno nel buon pastore che ascolta e dialoga – tanto la sostanza del contendere non cambia - cercando di smontare le accuse dei suoi avversari. Contenti anche gli sfidanti dentro il Pd, Emiliano e Orlando, per aver vinto questo round di… pre campionato, disponendo meglio le proprie pedine in vista di una sconfitta onorevole, portatrice di qualche idea (di minoranza) e di posti in lista e di poltrone. Idem per gli scissionisti, per i quali non è facile mettere in piedi una nuova aggregazione a sinistra del Pd. Tutto bene, dunque? Non scherziamo. Il Pd scivola nei sondaggi e manca solo il pretesto per fare precipitare la situazione. Restano le convulsioni interne in un forsennato gioco di interessi, calcolo di convenienze, scontro di potere. Ma c’è altro in ballo, non solo le poltrone. O il Partito democratico trova con il congresso una propria identità e una propria funzione politica rilanciando un progetto-Paese e un programma di governo adeguato alle sfide in corso o non ha motivo di esistere. E’ in grado questo Pd di dare all’Italia una nuova fase di stabilità politica sfidando con un credibile progetto alternativo l’ondata populista minacciosamente alle porte? Questo è oggi il nodo da sciogliere. Chiusa la fase dell’illusione del partito capace di fare il pieno alle urne e di governare da solo, il Pd è obbligato a gettare la maschera della sua ambiguità politica scegliendo la propria collocazione e i partner con i quali formare una coalizione con un governo capace di dare all’Italia stabilità e prospettiva.

L’obiettivo di Renzi non è la riedizione della DC ma una coalizione moderata di centro-sinistra con il “suo” Pd perno, alleato con il costituendo nuovo centrodestra, fuori dai vecchi schemi di centrodestra e centrosinistra. Con la “scissioncina” dei Bersani, D’Alema, Epifani&C il Pd renziano ha esaurito la sua residua identità di sinistra. Il Pd che uscirà dal congresso si terrà ben lontano dalla “cosa rossa”, una variegata costellazione difficilmente egemonizzabile dalla sinistra di stampo socialdemocratico di Enrico Rossi&C, condannata all’opposizione. Serve chiarezza. Chi è davvero il Pd, cosa vuole, con chi? Sarà il baricentro di una coalizione di socialdemocrazia aggiornata o di una coalizione moderata? Primarie e congressi hanno perduto credibilità ma è lì che si decidono identità, programmi e leadership. Tentennare ancora significa lasciare campo libero ai populismi e ai sovranismi di ogni colore facendo imboccare al Paese un tunnel senza via d’uscita. Per il Partito democratico è l’ultimo treno. Anche per il Paese.    

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