Perché Maurizio Martina non si dimette?
Maurizio Martina, novello Icaro, affetto da "torbellamonachismo tardivo"
Maurizio Martina è il segretario del Pd da luglio scorso, eletto dall’Assemblea nazionale, in attesa del Congresso previsto forse per il prossimo febbraio.
Insomma una nomina, con tanto di segreteria, evidentemente provvisoria perché sono mancate le candidature alternative e soprattutto il dibattito, di cui il Partito Democratico andava fiero. Martina, ex ministro dell’Agricoltura, è stato eletto a fronte dell’emergenza dovuta alla clamorosa sconfitta del 4 marzo scorso. Ma è un segretario che conta poco perché, come noto, il vero segretario è ancora Lui, il senatore Matteo Renzi che di fatto è sceso dell’empireo del mondo alla ritirata dell’Arno in pochissimo tempo, come in poco tempo, del resto, era pure salito.
In ogni caso Martina si sforza di recitare il ruolo. Barbone anni ’70 da cineforum di paese, slungagnone alla Nanni Moretti, cerca di mantenersi a galla tra contestazioni dei suoi stessi militanti nelle feste dell’Unità, come quella che si tenne a luglio in provincia di Brescia. Martina non ha la statura per fare il segretario vero del Pd. Cerca il consenso facile, immediato, visibile, affetto da “torbellamonachismo tardivo”, si accorge fuori tempo massimo delle periferie e fa sudare la sua segreteria tra i palazzoni infuocati della periferia est romana, dopo anni di agi ai Parioli, che sono costati al Pd la separazione dal suo vero elettorato di sinistra e l’avanzata contemporanea della destra sociale.
Visto che Renzi decide, di fatto, ancora tutto forse il segretario Martina dovrebbe pensare alle dimissioni: provvedimento doloroso ma utile per dare veramente il suo (piccolo) contributo senza alzarsi in volo troppo in alto a mo’ di novello Icaro.
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