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Politica
Riforme, il premierato non significa “uomo solo al comando". Ecco perchè
Elisabetta Casellati

Premierato non significa “uomo solo al comando": ecco perchè

Se ne parla poco. Sta di fatto però che nelle prossime settimane il Ministro per le riforme istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati, presenterà un ddl di revisione costituzionale di iniziativa del governo. Accantonata l’ipotesi del semipresidenzialismo, da sempre caro a Fratelli d’Italia e ancor prima ad Alleanza nazionale, la maggioranza ha virato sul premierato, che in sostanza altro non è che una variante della forma di governo parlamentare. D’accordo tutti i partiti della maggioranza di governo ed anche una parte del Pd, quella ex renziana ed ex lettiana, che tuttavia non può dirlo apertamente perché la linea ufficiale del partito a guida Schlein è quella del no a tutto. Esattamente come il partito di Conte. L’ex Presidente del Consiglio, nelle prime due fasi della pandemia, più che premier è stato principe, ma gli italiani fan presto a dimenticare. D’accordo con la via del premierato anche Italia Viva ed Azione, seppur con qualche distinguo.

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Il dato di fatto saliente è che, con le leggi maggioritarie che si sono avute nel 1993 e nel 2005, rispettivamente Mattarellum e Porcellum, ed anche con il Rosatellum del 2017, che è maggioritario per poco più di un terzo, il Presidente del Consiglio dei ministri è da circa trent’anni un premier di fatto senza regolamentazione costituzionale, gode del sostegno popolare ma non può – di suo – nominare liberamente o revocare i propri Ministri. Inoltre, con un premier frutto dei risultati elettorali, la funzione legislativa è di fatto esercitata quasi sempre dal governo a colpi di decreti-legge e decreti legislativi. Di contro, chi ha sempre parlato di centralità del Parlamento, su tutti M5S e Pd, nella scorsa legislatura ha umiliato il Parlamento riducendo senza criterio il numero dei parlamentari, creando un serio problema di sotto-rappresentanza al Senato.

Poi però si accetta, senza che nessuno dica nulla, che l’attuale Presidente della Repubblica Mattarella resti in carica oltre il termine che aveva fissato Giorgio Napolitano con la sua rielezione nel 2013, il quale aveva parlato espressamente di “eccezionalità” del secondo mandato al Colle, e dunque di mandato a termine. Tanto è vero che Napolitano si dimise dopo circa un anno e mezzo dalla sua rielezione al Quirinale, mentre Mattarella è già andato oltre. Detto ciò, chi ha paura del premierato perché si avrebbe l’“uomo solo al comando” non vuole vedere che la Repubblica parlamentare si è nei fatti trasformata in una atipica Monarchia parlamentare, non con l’uomo solo al comando ma con un solo uomo al comando, che non è il Presidente del Consiglio dei ministri ma il Capo dello Stato. Se Mattarella concludesse anche il secondo mandato (14 anni in tutto), supererebbe addirittura anche il regno dell’Imperatore Claudio (13 anni e nove mesi). Battute a parte, un problema di equilibri istituzionali esiste ed è oramai conclamato. Ma tutti tacciono.

Crediamo quindi che si debba intervenire sulla Costituzione regolamentando la figura del Primo Ministro. Se introdotta con adeguati contrappesi, la figura del premier non è certo quella dell’uomo solo al comando. Vediamo come si può fare. In primo luogo, occorre evitare l’elezione diretta del premier in senso tecnico, come avviene ad esempio per i sindaci e i presidenti di regione. Se si procedesse con il meccanismo dell’elezione diretta, con i nominativi dei candidati Primo Ministro indicati per legge sulla scheda elettorale, si verrebbe a creare una situazione in cui a fare le leggi sarebbe in sostanza quasi sempre il governo, con il Parlamento relegato ad applaudire per plebiscito le decisioni del premier. Una circostanza da evitare. In un nostro libro sul premierato, che verrà pubblicato a breve per i tipi di Giubilei Regnani, abbiamo pensato dunque al meccanismo della designazione indiretta, vale a dire l’obbligo per il Presidente della Repubblica di nominare Primo Ministro la persona indicata ufficialmente come tale nel programma elettorale della lista, o coalizione di liste, che ha ottenuto più voti alle elezioni politiche.

In secondo luogo, occorre ridare centralità al Parlamento. Vediamo in che modo. Al Primo Ministro, che così nominato non necessita del voto di fiducia iniziale da parte delle Camere, bisogna attribuire il potere di determinare (e non solo dirigere) la politica generale del governo e di nominare e revocare liberamente i Ministri. Di contro, il Parlamento deve poterlo sfiduciare – in ogni momento della legislatura - con mozione di sfiducia costruttiva, vale a dire con il nominativo di un nuovo Primo Ministro già pronto ed eventualmente votato da entrambe le camere.

In terzo luogo, per evitare il consociativismo partitico e dunque ribaltoni in corso di legislatura, andrebbe attribuito al Primo Ministro il potere di sciogliere le camere, sottraendolo al Capo dello Stato, ma attribuendo al Parlamento il potere di ultima istanza di respingere entro un determinato termine l’eventuale decreto di scioglimento del premier, in modo tale da evitare che le camere siano tenute sotto scacco o sotto ricatto dal governo.

Con tali meccanismi è facile constatare come un premierato ben equilibrato non significhi affatto “uomo solo al comando” ma portare a realizzazione, con adeguati contrappesi costituzionali, quanto nella realtà esiste già, ma funziona male perché senza regole certe.

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