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Politica
Reddito di cittadinanza, il paradosso del Pd. No a 7 mld a favore dei poveri

Reddito di cittadinanza, sette miliardi ai poveri e il Pd vota contro: lo scontro con il M5S fa la storia

Due anni fa, al momento dell’istituzione del Rei da un miliardo di euro, il Movimento 5 Stelle scelse l’astensione: un segnale di attenzione verso la lotta alla povertà. A parti invertite, e con 7 miliardi sul piatto del Reddito di cittadinanza, il Pd fa la scelta opposta, votando “no”. Con i grillini lo scontro è dialettico e culturale

La domanda che gira sotto traccia è questa: può il Partito Democratico votare contro un provvedimento che destina oltre 7 miliardi di euro in un solo anno al contrasto alla povertà assoluta? E che a tal fine, fin d’ora, di miliardi ne stanzia 8 per il 2020 e 8,3 per il 2021? E’ cioè non legittimo (certo che lo è), ma politicamente opportuno che alla prova dei fatti, nel momento della votazione finale, i parlamentari del Pd lascino stampati negli annali del Senato e della Camera un “no” ad una legge – quella sul Reddito di Cittadinanza - che, riguardo alla lotta alla povertà, fa segnare di gran lunga il record di tutti i tempi, con uno stanziamento di risorse capace di fare impallidire quelli trovati, faticosamente, negli anni e nei decenni passati? A molti potrebbe apparire una questione di lana caprina. Ma così non è. Per almeno due ragioni.

La prima è che l’aumento di risorse rispetto al passato è esorbitante: quando il Partito democratico - era il luglio 2016, governo Renzi - si trovò in Parlamento a proporre e votare la legge delega per il contrasto alla povertà che istituiva il Rei (Reddito di inclusione), nella sua dichiarazione di voto finale la deputata Pd Donata Lenzi poteva del tutto legittimamente usare toni vittoriosi esclamando: “E’ la prima volta in assoluto che le risorse stanziate per la lotta alla povertà ammontano a 1 miliardo di euro l'anno”.

Un miliardo, cifra di tutto rispetto, faticosamente raggiunta dopo che per anni si era ragionato solamente in termini di centinaia di milioni. Cifra che poi, alla partenza effettiva del Rei, il 1° gennaio 2018, salirà a poco più di due miliardi; ma che oggi, febbraio 2019, sembra cosa mediocre rispetto ai 7 miliardi destinati fin dal suo avvio al Reddito di Cittadinanza.La seconda ragione per cui quella iniziale non è una questione di lana caprina è che allora, quando si discusse dell’istituzione del Rei (luglio 2016 alla Camera e poi marzo 2017 al Senato), il Movimento 5 Stelle, pur esprimendo in tutti i modi la sua contrarietà al testo di legge, non votò contro. Pur essendo contrario al provvedimento, pur non condividendolo, pur denunciando che con lo strumento della legge delega si lasciava mano libera al governo di legiferare, il M5S non votò contro. Come, da opposizione, era solito fare ed era scontato che facesse.

Non votò contro, ma scelse l’astensione. L’allora relatrice di minoranza, Nunzia Catalfo (oggi relatrice di maggioranza sul Reddito di Cittadinanza) nell’Aula del Senato (9 marzo 2017) lo spiegava con queste parole: “Dico con rammarico che questa è l’ennesima occasione persa per risolvere il problema della povertà nel nostro Paese. Avete impedito qualsiasi tipo di dibattito costruttivo sul tema, negando la possibilità di apportare il minimo miglioramento al testo del disegno di legge di delega in esame: e creerete ancora una volta poveri di serie A e poveri di serie B. Si poteva fare di più e meglio: con questa misura non si garantirà nemmeno una vita dignitosa a tutte quelle persone che vivono sotto la soglia di povertà assoluta. E’ l'ennesimo provvedimento fuffa, il M5S si asterrà”.

Le motivazioni della scelta dell’astensione le aveva spiegate meglio qualche mese prima, alla Camera (14 luglio 2016), la sua collega Tiziana Ciprini, che così chiudeva la dichiarazione di voto del M5S sul provvedimento: “Ma noi non bloccheremo il vostro provvedimento, non bloccheremo queste vostre briciole. Ci asteniamo, perché è la prima volta che in questa sede, oltre che a parlare di povertà, si inizia a fare qualcosa. 

Lasciamo aperta questa strada per uscire dal buio”. Un segnale di rispetto, il riconoscimento che – al netto dei modi concreti – l’attenzione alla lotta alla povertà era doverosa.Ora, febbraio 2019, le parti si sono invertite. L’opposizione di allora, quella che nonostante tutto, pur in totale disaccordo sulle caratteristiche della misura, non votava contro ma si asteneva, è diventata la nuova maggioranza e ha messo sul piatto del Reddito di cittadinanza 7,1 miliardi nel 2019, 8,055 miliardi nel 2020 e 8,317 miliardi dal 2021. Cifre che, anche al netto dei soldi che andranno per navigator e Centri per l'impiego, restano ben più alte di quelle sulle quali nella sua breve vita ha potuto contare il Rei: si tratta di 5,62 miliardi nel 2019, 7,123 miliardi nel 2020 e 7,355 miliardi nel 2021. Scontato il disaccordo sulla misura, il Partito Democratico ha scelto la propria posizione: e in Senato, come succederà alla Camera, ha votato contro. Contro un provvedimento che destina alla lotta alla povertà assoluta la cifra più alta mai stanziata nella storia della Repubblica.Trova le differenze, direbbe a questo punto qualcuno. E differenze ce ne sono tante, naturalmente.

A partire dal fatto che dal punto di vista strettamente parlamentare siamo di fronte a due provvedimenti diversi: allora si votava una legge delega, assegnando dunque al governo il compito di scrivere un decreto legislativo sul tema del contrasto della povertà (oltre che sul riordino delle prestazioni e sul sistema degli interventi e dei servizi sociali). Oggi si vota invece la conversione di un decreto legge già operativo, e di un decreto che al suo interno non ha solamente il Reddito di Cittadinanza, ma anche altri corposi capitoli, fra cui una controversa revisione di alcune norme sulle pensioni (la cosiddetta quota 100). Da un lato quindi avevamo un testo omogeneo, qui abbiamo un testo che affronta numerosi temi.Ma questi sono dettagli che sfumano.

E il Movimento 5 Stelle lo sa. Tanto che oggi la dichiarazione di voto di Paola Taverna ha stuzzicato il Partito democratico esattamente sulle corde dell’attenzione ai poveri: “Come si fa – ha detto la pentastellata rivolgendosi ai dem – a sedere in Parlamento e a contrastare l’unica misura che può abbattere le disuguaglianze sociali nel nostro Paese?”. E se l’è presa con “una sinistra che, senza un briciolo di vergogna, va sbandierando l'intenzione di raccogliere le firme per un referendum contro il reddito di cittadinanza. Non gli è bastato distruggere lo Stato sociale creando un abisso tra ricchi e poveri. No, adesso a quegli stessi poveri, figli delle loro politiche, questi signori hanno addirittura deciso di dichiarare guerra. La sinistra, la sinistra.

Ma dov'è la sinistra? Avete rinnegato anche voi stessi pur di contrastare il reddito di cittadinanza”. Un attacco più volte interrotto, a suon di urla, dai parlamentari Pd. Sintomo che il nervo è teso e che la provocazione non è senza fondamento.Ma alla fin fine perché il Pd ha votato contro, anche se il provvedimento destina 7 miliardi contro la povertà? Perché non ha scelto, anche solo in segno di rispetto verso la platea del provvedimento, di fare la stessa scelta che due anni fa, a parti invertite, fece il Movimento 5 Stelle, astenendosi? Nel corso della discussione lo aveva spiegato il senatore dem Edoardo Patriarca, che senza mezzi termini si era fatto la domanda e si era dato la risposta: “Si può essere contro un provvedimento che si pone l'obiettivo di contrastare la povertà? Ovviamente no, a patto che il provvedimento vada nella direzione giusta e che si faccia bene il bene. Si faccia bene il bene.

Nel provvedimento al nostro esame il bene che proponete è confuso e intriso di una burocrazia asfissiante. Vi è una sequenza di procedure e di tempistiche irrealizzabili. E a pagare saranno i poveri”. “Non è un diritto per tutti – scandiva Patriarca – e state creando un'aspettativa che produrrà ancora più delusione ed incertezza: le persone e le famiglie fragili tanto evocate nei vostri interventi non meritano illusioni e false speranze. Proprio non le meritano e non se lo possono neppure permettere”.Per il Pd  “povertà sociale e povertà di reddito vanno distinte: la povertà di reddito si combatte con l'occupazione, producendo lavoro, mentre la povertà sociale si combatte con la presa in carico. Sono due percorsi diversi”, ha sentenziato Patriarca, con il collega Tommaso Nannicini (un altro dei 'padri' del Rei) a dirla apertamente: “Continuate a confondere contrasto alla povertà e tutela della disoccupazione. 

Può accadere che un povero non sia occupabile e può accadere che un disoccupato non sia povero. Entrambi hanno bisogno di una garanzia del reddito e di servizi, ma diversi: un reddito vicino al salario che hanno perso e servizi di ricollocazione per i disoccupati; un reddito più basso ma con servizi di attivazione sociale per i poveri. È quello che abbiamo iniziato a fare nella scorsa legislatura, allargando l'indennità di disoccupazione e creando il reddito di inclusione. Si può e si deve fare di più, ma andando in quella direzione e non creando uno strumento ibrido che dimentica i disoccupati e non aiuterà i poveri”.

E poi, la difesa: “Alcuni colleghi della maggioranza hanno detto che il Partito Democratico considera i poveri ‘colpevoli’. Ma quando mai? Proprio noi vi abbiamo chiesto, qui, di cambiare le parti più assurde del vostro decreto che trasudano di "povertà colpevole". (…) Non abbiamo ricevuto risposte”.Alla fine, insomma, al netto del contesto politico e parlamentare attuale – che evidentemente conta, eccome se conta – quella che il Partito democratico ha compiuto è stata una valutazione complessiva del provvedimento e della sua efficacia. Nessuna astensione, nessun segnale - neppure platonico – di apprezzamento per uno sforzo economico che a parti invertite non era riuscito a garantire. Il Pd vota contro. Come in fondo è normale che sia, in questa legislatura. E resta così agli atti che la sinistra vota contro il più grande sforzo mai intrapreso (almeno nei numeri) nella lotta alla povertà assoluta. 

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