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Politica
Referendum 4 dicembre, Usa e Ue in campo al fianco di Renzi


Mancano circa 40 giorni all'alba. L'alba di quel 5 dicembre post-referendum che potrebbe essere decisivo per l'Italia ancora di più di quanto non lo possa essere per la politica italiana. Per l'Italia infatti è chiaro dai segnali che arrivano leggendo e guardando i mass media di tutto il mondo che la vittoria del sì rappresenterebbe un'accelerazione verso un rafforzamento sullo scenario internazionale di un paese come il nostro frenato da un sistema istituzionale lento e con troppi attori che recitano la stessa identica parte.

Se invece vincesse il no qualunque ipotesi di riforma istituzionale verrebbe abbandonata per decenni (visto che sarebbe il secondo fallimento in dieci anni dopo la devolution proposta dal Centrodestra nel 2006). Con conseguente definitivo abbandono di qualsiasi speranza da parte di tutti gli occhi interessati in Europa e nel mondo rispetto alla capacità del nostro Paese di risollevarsi con le sue gambe da questa e dalle future crisi economiche e politiche.

Ci piaccia o no e comunque la si pensi sulla riforma costituzionale per la quale si vota il 4 dicembre, questo è lo scenario reso ancora più chiaro dalle ultime settimane. Prima il governo degli Stati Uniti di Obama in piena campagna elettorale per la Clinton ha chiaramente fatto capire senza tanti giri di parole che la vittoria del sì rappresenta la strada principale per rafforzare la fiducia di un alleato strategico, dell'Italia. Fiducia e alleanza anche essenziali per mantenere un asse contro le politiche rigoriste europee che deprimono l'Italia e svantaggiano gli Stati Uniti.

Negli ultimi giorni è invece l'Europa a essere chiaramente entrata in campo sul referendum italiano del 4 dicembre. Le critiche europee alla Legge di Stabilità che tocca una serie di tasti utili a dare respiro (almeno sulla carta) alla ripartenza dell'economia sono state infatti parcheggiate non casualmente fino al 5 dicembre. L'Europa del rigore ha dato cioè il chiarissimo segnale di una disponibilità a valutare la nostra manovra economica in funzione del risultato del referendum. Ovvero in funzione della maggiore o minore affidabilità che l'Italia dimostrerà scegliendo su una riforma nata proprio per liberare l'Italia dalle sue zavorre e per far funzionare le istituzioni davvero al ritmo del resto del mondo e dell'economia.

Del resto che l'economia, la manovra economica e le scelte delle istituzioni europee e internazionali siano oggi al centro della campagna referendaria è una naturale conseguenza del fatto che, fuori dai dibattiti tra costituzionalisti, la vera partita che porterà al voto il 4 dicembre si gioca sul terreno delle conseguenze pratiche e quotidiane (in primis quelle economiche) della riforma. E, nondimeno, il fatto che il fronte del no capeggiato da Massimo D'Alema e seguito da Grillo, Meloni, Salvini e (timidamente) Berlusconi e Parisi abbia fatto della guerra totale a Renzi e al suo governo l'unico vero messaggio di tutta la campagna elettorale comporta la trasformazione delle relazioni internazionali del premier e del governo e della manovra economica nella parte centrale di questo ultimo mese di battaglia.

Il segnale sempre più chiaro è che il 5 dicembre per nessuno l'italia sarà più come prima.

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