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Politica
Referendum, "mago" Renzi pronto a tirar fuori un altro coniglio dal cappello?

Di Massimo Falcioni

A un mese e mezzo dal voto, il referendum costituzionale si è trasformato sempre più in una diatriba artificiosa, in un SI o un NO su Renzi, il suo governo, il suo Pd. Artificioso non significa di poca importanza e senza danni. Il pallino è in mano al Pd renziano ma in gioco non c’è più solo un partito o una parte politica (la sinistra) bensì il Paese tutto, dentro una crisi che lo strozza anche per l’incapacità della casta politica, con gli italiani sfiduciati, certi che domani non sarà migliore di oggi. I più attivi, quelli del Partito democratico - i tanti della maggioranza e i pochi della minoranza – più che a cercare voti sono impegnati ad avvelenare i pozzi: non solo quelli interni del loro partito, ma tutti i pozzi della politica e dell’intero Paese!

Non è la guerra civile delle vendette, degli agguati e del moschetto fra “rossi” e “neri” dopo l’8 settembre del ’43 e dopo il 1945, ma “guerra civile” è perché corrode quel che di buono resta dell’identità degli italiani come popolo sotto lo stesso Tricolore, perché vede ovunque traditori e “untori” da esporre al pubblico ludibrio. Nei due schieramenti si è perso il senso della misura, dilagano odio e minacce, non si risparmiano colpi e tutto si sacrifica di fronte a quella che si definisce, non più solo dentro il Pd, la battaglia finale che può chiudere l’era Renzi o dare al “Rottamatore” il potere quasi assoluto per i prossimi anni, forse decenni. In tale quadro, invece di diminuire, il polverone e la confusione sono aumentati, al pari delle strumentalizzazioni di entrambi gli schieramenti, così che gli elettori sono sempre più assaliti da dubbi, per nulla aiutati a concentrarsi sul vero quesito referendario che è quello relativo alla riforma della seconda parte della Costituzione. Di fatto si marcia – meglio dire si corre - verso l’imbarbarimento della lotta politica, il peggio del peggio della prima Repubblica, senza un briciolo di “nobiltà”, di legittimazione e rispetto reciproci e senso del fare concreto per il bene comune che in Italia pur ci sono state, fra alti e bassi, nella politica del dopoguerra, per non pochi decenni. Di questa situazione di conflitto e di divisione nel Paese, il primo responsabile è il capo del governo che è anche capo del maggior partito italiano, dilaniato all’interno e in crisi di adesioni (iscritti) e in difficoltà elettorale rispetto al 40% delle Europee, partito a rischio di implosione dopo il 4 dicembre.

Vista la malaparata, con il rischio del tonfo del SI e del trionfo del NO, Renzi vola da Obama (dove incassa un discutibile assist per il SI) e a Bruxelles (incitando gli eurodeputati Pd per conquistare il voto degli italiani all’estero) e già prepara il contrattacco, sulla falsariga degli ex capi comunisti: “la linea è giusta ma è stata applicata male”. Cioè la scorciatoia per cercare capri espiatori, accusarli per la eventuale sconfitta e per le riforme abortite. Idem sull’altro fronte, quello variegato del NO, che ha in Massimo D’Alema-schiacciasassi la punta di diamante, quanto meno mediatica, anche nella demonizzazione di avversari e compagni di partito, a cominciare da Renzi, giù giù sino all’ex amico di tante battaglie, il presentabilissimo Luciano Violante, insolentito da “Baffino” e accumulato addirittura all’impresentabile Verdini. Insomma, benzina sul fuoco di tutti contro tutti con l’imperativo: “a bandito, bandito e mezzo”.

Lo stesso Berlusconi, anch’egli oramai in prima linea sul fronte del NO, al TG5 spara bordate: “Questo governo punta su una riforma malscritta e pericolosa per ritrovare quel consenso che non ha più. Una riforma che favorisce una deriva autoritaria, con il rischio di un uomo solo al comando”. Si paventa, insomma, la dittatura di Renzi, al pari di quanto l’ex Cavaliere gridava aiuto di fronte all’arrivo dei comunisti, già con i cavalli dei cosacchi ad abbeverarsi nelle “sacre” fontane di Piazza San Pietro.  Qui siamo. Dentro un minestrone che disorienta gli elettori, spinti da queste compagnie del giro all’astensione dal voto o a votare scheda bianca. Ma al peggio, si sa, non c’è mai fine: la richiesta a votare NO, se disattesa, contiene una forma di prepotenza politica e culturale, peggio: l’accusa di tradimento. E viceversa, per il SI. E’ vero: comunque andrà non finisce il mondo, tanto meno la nostra Italietta. Ma se vince il NO la crisi di governo è certa perché, come dice l’ex Pci ed ex direttore de l’Unità, il sempre attento e lucido Peppino Caldarola: “un premier non eletto non può stare lì dopo che gli elettori hanno bocciato la riforma cardine del suo esecutivo”.

E qui casca l’asino, cioè rotola questo Pd dilaniato, sfilacciato, avvitato sulle proprie beghe, incapace di reggere l’urto della storia, responsabile primo della eventuale debacle del SI, quindi del ko del proprio segretario-premier, Matteo  Renzi. A quel punto, un Pd nudo e crudo, senza più i numeri per dettar legge in parlamento, tanto meno per indicare a Palazzo Chigi uno dei suoi. Allora? Se la democrazia ha ancora un senso, dopo il formale giro di valzer al Colle, a Mattarella non resta che giocare – udite! Udite! - la carta di un esponente del M5S. Già. Aspettando il 4 dicembre. Pompieri cercasi? No, cercasi leader. A meno che Renzi, già impegnato ad elargire bonus elettoralistici, non lanci una nuova “mossa”, una sua nuova idea di forte impatto mediatico tirando fuori, da mago provetto, un altro coniglio dal cappello!   

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