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Politica
Referendum, si fa presto a dire merito. Le 10 ragioni del no

Di Giovanni Esposito

Se il significato di un esito referendario dovesse essere (come ritengo pacifico) direttamente proporzionale al grado di attendibilità della scelta operata nell’urna, il prossimo non potrebbe che risultare totalmente inutile. L’elettore, difatti, armato di buona volontà e di un testo di diritto costituzionale: prima dovrebbe analizzarne i diversi, non correlati, punti che si intenderebbe emendare; raggiunge, poi, un convincimento, consapevole, sulle conseguenze; infine, salvo non aver maturato la convinzione (alquanto improbabile) che gli piaccia tutto o niente, ponderare i, singoli, meriti per giungere alla, famelica, conclusioni finale del prendere (Si) o lasciare (No).

Dopo qualche settimana di approfondimento (quanti lo stanno facendo o lo faranno?), questo è il risultato.
Le argomentazioni del SI e del NO, che vanno per la maggiore, risultano, entrambe, strumentali e faziose: difatti, infondate, appaiono sia le tesi che sostengono la maggiore efficacia dell'azione legislativa ed esecutiva che ne deriverebbe sia quelle che, paventano, derive autoritarie (almeno non in misura maggiore di quanto già faccia l'esecutivo nei confronti del Parlamento). Fra l’altro, il tema maggiormente dibattuto (bicameralismo perfetto) è superato dalla prassi, consolidata, che, in Italia, a legiferare provvede l’Esecutivo.

Gli interventi di revisione, approvati dal parlamento, sono, questa la vera criticità, talmente confusi e disorganici, da non rendere esplicito quale fine, il costituente, abbia voluto perseguire: ridisegna il rapporto Stato-Regioni, però dimentica quelle a statuto speciale; insegue la velocità dei tempi, ma si ipoteca la certa eleggibilità del Capo dello Stato; scompaio i senatori a vita per istituirne altrettanti a tempo; il Senato non legifera, ma esprime pareri un po' su tutto, giusto per partecipare.
Ciò sconta due peccati originali. L'averne affidata la responsabilità a Maria Elena Boschi (al primo mandato parlamentare, senza alcuna esperienza di Diritto Costituzionale e sconosciuta al mondo delle pubblicazioni scientifiche), così come se avessimo commissionato il ponte sullo stretto di Messina ad un ingegnere avvezzo alla manutenzione ordinaria di mere unità abitative, con l'unico, prevedibile, risultato che l'impianto strutturale non sta in piedi. In secondo luogo, più che perseguire La riforma, è stata inseguita una, qualsiasi, riforma o morte; non avendo individuato un obiettivo preciso, durante l'iter di approvazione si è persa, totalmente, la direzione di marcia.

Con queste, palesi, criticità, risulta evidente che non dovrebbero essere gli altri a difendere lo status quo, bensì i sostenitori della riforma a convincere delle loro ragioni, con motivi maggiormente rassicuranti dei “cambiamento = miglioramento”, “discutere in politica = perdita di tempo”, con la, conseguente, conclusione che i non consapevoli e gli indecisi dovrebbero opporvisi nell’urna.

Approdando al famigerato merito, sono almeno 10 gli aspetti che inducono, con ragionevole prudenza, a votare NO.

1) SE NON È LA MIGLIORE, PERCHÉ VOTARLA? Secondo la stessa Ministra Boschi, non è la migliore possibile: allora, chi e cosa ci costringono a votarla? Non si può immaginare che la Costituzione sia un cantiere permanente; scenario che si prospetterebbe in ipotesi di approvazione. Così come avvenuto per la legge elettorale, una riforma di misura e non perfetta aprirebbe la strada a continui ritocchi.

2) EFFICIENZA NON SIGNIFICA EFFICACIA
I sostenitori del SI argomentano la presunta inefficienza dell'attuale cornice, a causa delle lungaggini imposte dalla "navetta" fra le due camere. Ma non vi è prova, né potrebbe esserci, che un, ipotetico, snellimento dell'iter legislativo produca, sic et simpliciter, norme maggiormente efficaci. Quello che traspare è che, come se non bastasse, il consolidato, abuso dei decreti legge e delega, si voglia espropriare il Parlamento dell'iniziativa legislativa.

3) LA STABILITÀ È UNA CHIMERA?
Nel corso delle ultime legislature, le maggioranze sono state traballanti a causa della riprovevole abitudine, esercitata dai nostri rappresentanti, con perfetta destrezza, di cambiare casacca; argomento che, però, non è all’ordine del giorno. In altri termini, non si impedirebbe che il giorno dopo le elezioni, la maggioranza possa mutare a causa della migrazione di deputati da una lista all’altra.

4) LA SELEZIONE DEI CANDIDATI IN MANO AI SEGRETARI DI PARTITO
Non viene istituzionalizzata la democrazia interna dei partiti. In un sistema nel quale immaginiamo di delegare la legislazione ad una maggioranza unicamerale, che potrebbe non esserlo nel Paese, si lascerebbe la selezione dei candidati al libero arbitrio delle segreterie di partito, con l’effetto di avere una Camera di ricattabili soldatini.

5) UN SENATO CHE RALLENTA L'ITER CON PARERI DI CUI LA CAMERA NON TERRÀ CONTO
Sulla legislazione ordinaria, il Senato esprimerebbe pareri che possono essere liberamente ignorati dalla Camera (qual è fine si vorrebbe perseguire?); vota le leggi costituzionali, ma non si comprende quale ne sarebbe la legittimazione politica. È ampiamente prevedibile che i senatori, al fine di giustificare la propria esistenza, manderebbero, continuamente, alla camera, proposte di modifiche legislative, con il solo risultato, strumentale ed infruttuoso, di dilatare i tempi.

6) LA LEGGE ELETTORALE ALLA MERCÉ DELLE MAGGIORANZE
Perché la legge elettorale, che converte il voto popolare in rappresentanza parlamentare, non è stata stabilizzata e salvaguardata con norma costituzionale? Diversamente, rimanendo di rango ordinario, rimane esposta all'assalto delle maggioranze governative.

7) LA RIFORMA DI UNA SOLA PARTE
La costituzione dovrebbe essere emendata a larga maggioranza per essere largamente condivisa dai rappresentanti e per non arrivare alla cabala del passaggio popolare: infatti il corpo elettorale sarà chiamato ad esprimersi su argomenti molteplici (si modificano più parti), di difficile percezione (es. nuovo articolo 70) e che sono fuori dalla sfera degli interessi individuali (perché ci si chiama ad esprimerci sui limiti dei decreti legge?).

8) L'ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA A RISCHIO STALLO
Il Capo dello Stato verrebbe eletto dal Parlamento in seduta comune. Anche dopo più votazioni, sarebbero necessari almeno i 3/5 dei presenti. Questo quorum elevato, che vorrebbe scongiurare l'elezione di un Presidente di parte, di fatto ne ipoteca la certa elezione. In un Parlamento sempre più polarizzato, cosa accadrebbe se maggioranza ed opposizione non raggiungessero un accordo sul nome? Li sequestreremmo in attesa della fumata bianca? Lo stallo avvenuto per i giudici della Consulta, non farebbe presagire nulla di buono.

9) I SENATORI DELLE ANOMALIE
Per i 100 non viene indicato il criterio preciso di nomina, è certo, solo, che non sarebbero eletti direttamente. Se potrebbe, inoltre, trovarsi una logica nell'eliminazione dei senatori a vita, non si comprende perché vengano sostituti da 7 parlamentari di nomina presidenziale a tempo; ne conseguirebbe che non sarebbero più personalità di pregio per aver illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, ma uomini del Presidente. Se, infine, i senatori tutti non avrebbero alcun potere legislativo ordinario, quale autonomia ed indipendenza sarebbe degna di essere tutelata con l'immunità?

10) NON SONO STATI SCIOLTI I NODI VERI
Non viene superata la pesante sperequazione di forma e condizione di autonomia fra regioni a statuto speciale (e provincie autonome) e quelle ordinarie, vero anacronismo dell'attuale Carta, nonché motivo di pedissequa dissipazione di pubblico denaro. Né il Capo dello Stato, né quello del Governo vengono eletti direttamente dal popolo. Perché?

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referendum no





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