Renzi cade nell’imboscata del Movimento Cinque Stelle
Mancano poco più di 40 giorni al Referendum del 4 dicembre per riformare la Costituzione (abolizione del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali, abolizione del Cnel e competenza allo Stato centrale di alcune funzioni: turismo, trasporti, energia, sottraendole alle Regioni), che si realizza una distrazione/spostamento d’accento da parte del Movimento Cinque Stelle: l'approdo in Aula del ddl sul dimezzamento degli stipendi dei parlamentari, con Beppe Grillo che annuncia la sua presenza e convoca gli attivisti in Piazza Montecitorio.
Luigi Di Maio dei Cinque Stelle provoca il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Venga in Aula e dia indicazione al Pd di votare il testo”. E’ evidente da un lato il puntare la pistola alla testa del premier, su un tema, sostanziale e reale, ma anche popolare (la classica discussione da bar) sugli stipendi dei parlamentari, dall’altro canto lo sfruttare la personalizzazione del referendum, autoindotta da Renzi a suo tempo, ora respinta dallo stesso, ma invano (nei cartelli della Lega Nord sostenitori del no, dentro la o del no campeggia la faccia del premier), assecondando la percezione che tra gli italiani indecisi la diffidenza non è tanto per le ragioni del sì quanto per Renzi.
Il premier sceglie lo strumento sbagliato in termini di comunicazione politica: invece di minimizzare, rilancia con una proposta, non tangibile ma programmatica: “Leghiamo l'indennità alle presenze dei parlamentari in Aula”. Sarebbe stato meglio se avesse detto: “Non facciamo demagogia. E’ vero, i parlamentari italiani sono quelli che guadagnano di più rispetto agli altri Paesi. Faremo benchmarking, studieremo e presenteremo una proposta in sei mesi.”
Ernesto Vergani