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Politica
Verso le elezioni, Milano è la vera finale di Champions per Renzi


In zona Cesarini, Matteo Renzi scende in campo in vista del primo turno delle elezioni comunali del 5 giugno e poi dei successivi ballottaggi. Il segretario-premier, già a Roma il primo giugno in una manifestazione con Giachetti, è pronto a metterci la faccia in cerca di un punto di forza “extra”, ad alta emotività (il rientro in Italia del Marò Salvatore Girone?), che nel finale di una campagna elettorale sotto tono rianimi le vele afflosciate di un Partito democratico tutt’altro che motivato e unito.

La voragine dell’altro giorno sul Lungarno a Firenze è l’ennesima ferita al “buongoverno” e al buon senso, un altro duro colpo alle classi politiche locali e nazionali e a tutto l’ambaradan che ruota attorno, una sintesi di malgoverno da “Repubblica delle banane” per nulla intaccata – anzi! - dall’ingresso nelle sale dei bottoni, dalla periferia al centro, dei nuovi amministratori e politici renziani Made in Leopolda. Tant’è.

A una settimana dal voto Renzi ostenta un ottimismo di facciata ma teme il flop delle urne, volteggia sul trapezio conscio del rischio che corre: gli serve – anche per dare lo sberlone del ko a Bersani&C – un grande risultato: non il “cappotto” con l’impossibile conquista di tutte le città che contano, ma un segnale, anzi “il” segnale che da solo fa la differenza e che fa capire l’aria che tira vincendo il primo tempo di una partita decisiva che terminerà ad ottobre con il referendum costituzionale. Il segnale, dunque: dove? A Milano.  Vincere a Milano con Giuseppe Sala e battere Stefano Parisi.

Centrare più obiettivi in un sol colpo. Spodestare la Lega dai sui feudi di punta bruciandone ogni velleità espansionistica; bruciare sul nascere il tentativo di Berlusconi&C di ricostruire il primo tassello di un nuovo progetto politico di centrodestra con ampie alleanze per le prossime elezioni politiche; issare la bandiera del renzismo nella vera “città globale” italiana, porta d’Europa, impegnata nel mettere a sistema le proprie eccellenze imponendosi quale polo di capitale umano, culturale, imprenditoriale e finanziario a livello europeo e mondiale, emblema – specie dopo l’Expo – dell’Italia capace di nuove sfide. I numeri parlano da soli: nella provincia milanese ci sono 3400 imprese a partecipazione internazionale con 280 mila lavoratori e un volume d’affari di 170 miliardi di euro.

Il 50% di tutte le aziende italiane inserite in gruppi internazionali è in Lombardia: 4700 aziende a partecipazione estera con 220 miliardi di euro di fatturato complessivo e oltre 400 mila occupati. Una realtà frutto della profonda trasformazione avviata sin dalla fine degli anni ’80, una base oggi pronta per un nuovo grande balzo. Adesso serve, come ha detto il direttore di Promos (Camera di Commercio) Pier Andrea Chevallard: “… uno sviluppo delle relazioni tra i diversi attori territoriali, che tuttora faticano a costruire alleanze, a integrarsi, a connettersi tra loro e a creare convergenze verso obiettivi comuni”. Ecco il ruolo propositivo di orientamento e di sintesi della politica.

E Roma? Conta Palazzo Chigi. Contano i ministeri e poco più. Punto. Il Campidoglio fa da luccichino ma è più fonte di guai che di gioie. Poi, con la spada di Damocle della possibile vittoria (al secondo turno) di Virginia Raggi (M5S), la colpa può essere data all’ex sindaco, il “nemico” Marino e alla minoranza interna piddì, sempre nel mirino, caprio espiatorio nella capitale e altrove se le urne portassero male. Le altre piazze? Derubricate a fatti locali, a meno di una debacle del Pd, non prevista, anche a Torino e a Bologna. E’ a Milano che si gioca la partita che conta, con proiezione nazionale. Se Sala sfonda a Milano mandando ko gli avversari vicini e lontani, Renzi cavalcherà la vittoria brandendola come un ambito trofeo.

In tal caso Matteo può scollinare, andando veloce – al passo della fanfara - verso il “suo” referendum d’ottobre, passaggio decisivo per fare scattare il “filotto” delle riforme, chiudere con la fase fantasmagorica del teatrino della Leopolda e passare a quella del governo della “sostanza” che identifica il piglio, lo stile la sostanza del leader, forse dello statista anche se in erba e comunque il “capo”, non il primo dei funzionari di partito. Utopia? L’amarcord della “Milano da bere” degli anni ’80 - la città aperta, viva, costruttiva e ottimista - riporta al tempo che fu, fino a tessere un filo conduttore – pur in una realtà di uomini e di fatti totalmente differente – fra Craxi e Renzi, fra il craxismo e il renzismo. Dopo le libagioni, si sa, incombe l’agguato della sbornia. Dopo la “Milano da bere” arrivò lo tsunami di Tangentopoli. Nel mirabile film “Miracolo a Milano” De Sica conduce il neorealismo “oltre”, nel filo sottile della metafora, ricorrendo al miracolo (al fantastico), per narrare la realtà. Ecco, per Renzi, il passaggio del 5 giugno: il virtuale sostituito dal reale, il tweet che lascia il posto a una croce sulla scheda elettorale. Matteo, “Hic Rhodus hic salta!”.

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renzi elezioni milano





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