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Politica
Renzi, Pd e sinistra: uniti nel “gioco al massacro”?


Le parole “sacre” della vecchia sinistra ai tempi del Pci erano tre: “compagni”, “unità”, “interesse generale”. Nel Partito democratico nessuno, dal segretario in giù, apre più un discorso dicendo “compagni”. Nello stesso Pd, e anche alla sua sinistra, quell’unità “totem”, da “tenere cara come le pupille dei propri occhi” (Togliatti) non vale più neppure come slogan frantumata da mille guerre intestine fra “compagni-fratelli coltelli”. Idem riguardo agli “interessi generali del Paese” sempre posti come priorità, oggi invece dimenticati rispetto agli interessi di partito e anche a quelli personali. Dal dopoguerra ad oggi, la sinistra, mai è stata così incarognita e divisa avviandosi verso le elezioni politiche nella logica autolesionista: “Mors tua vita mea”. Il Rosatellum impone ob torto collo accordi di coalizione elettorale. Da qui il tentativo di rimettere insieme i cocci della sinistra affidato da Renzi a Fassino. Ma è solo un bluff. Intanto perché Fassino è l’uomo sbagliato nel posto sbagliato nel momento sbagliato: esprime la sintesi degli errori passati e presenti del Partito democratico (e dei partiti fondatori del Pd) e delle stesse componenti a sinistra, una leadership di cartapesta di fatto al servizio di Renzi che rivendica in toto il proprio iter nel partito e nel governo. Poi perché è fuori tempo, solo una mossa da “azzeccagarbugli”, priva di contenuti politico-programmatici. Infine - punto decisivo - un accordo Pd e sinistra è (anche) elettoralmente improponibile perché Bersani&C pagherebbero subito un pesante conto alle urne con i loro elettori oramai nemici giurati di Renzi e del renzismo, di nuovo “out” per approdare nel M5S o nell’ astensionismo. Non solo. Se per miracolo l’accordo avvenisse, durerebbe meno che da Natale a Santo Stefano perché per la nuova maggioranza di governo serverebbe verosimilmente alla sinistra (Pd e bersaniani&C) il supporto del partito di Berlusconi. Come dire mischiare il diavolo con l’acqua santa. A qual punto la sinistra del Pd abbandonerebbe subito la nuova compagnia.

Fassino, insomma, non ha nulla da offrire, solo uno stecchino, cui nessuno si aggrappa perché non c’è più niente da succhiare.

Insomma, un film già visto, stavolta con il “soldato Piero” richiamato in prima linea, spinto fuori dalla trincea, con l’ultimo colpo in canna, da sparare contro chicchessia, magari in alto, non sapendo più chi è il nemico e chi l’amico. Una missione impossibile, il solito valzer del “cerino in mano” utile caso mai per cercare altri “capri espiatori” dimostrando che questa sinistra non si tiene insieme neppure col cerotto. Si dirà: ma non c’è solo Fassino a tentare la “ricucitura”! Vero. E’ un fiorire di “anime belle” di varia storia e natura, più caporali di giornata o sergenti di fureria al calduccio che generali effettivi sul campo – comunque mai leader e tanto meno statisti – uomini dal partito liquido e dai governi instabili e spargi-poltrone, sempre fuggiti dopo le batoste (padri veri o putativi fa lo stesso: Veltroni, Prodi, Parisi ecc.) oggi “suggeritori” in un agitarsi confuso fra appelli caritatevoli e minacce a chi non ne vuole sapere di rientrare sotto lo stesso tetto. Così la toppa è peggiore del buco. E l’allegra compagnia (si fa per dire) s’avvia in una campagna elettorale decisiva con idee strategie e mezzi pari alla campagna di Russia mussoliniana. Una disfatta annunciata, un massacro, in questo caso “solo” elettorale. Al dunque,

al voto, il Pd renziano correrà da solo o con qualche alleatino di comodo. I cespugli alla sua sinistra non si uniranno neppure fra loro, figurarsi con questo Pd. L’irragionevolezza di tutti si basa sul calcolo politico di parte. Se Parigi val bene una messa, per Renzi la definitiva rottura con la sinistra vale un suo Pd di yes men pure in Parlamento, anche se sotto al 25%, ma senza più la zavorra interna e senza attorno i nemici della sinistra storica. Un Pd ridimensionato elettoralmente ma decisivo nei giochi parlamentari per nuove maggioranze e nuovi governi, con Matteo al centro del gioco. Invece, per Bersani, D’Alema&C la batosta elettorale del pidì renziano vale più dell’irrilevanza dei loro nuovi partitini bonsai sempre protesi verso “il sol dell’avvenire” certi della prossima fine del capitalismo e del trionfo del socialismo Made in Italy. Messi così, per il Pd renziano, ma anche per i partitini-movimenti a sinistra, l’obiettivo vero non è il bene del Paese ma la rovina dei propri nemici, gli ex amici&compagni della sinistra-minestrone. Come finirà? Una campagna elettorale velenosa con il Paese avvitato su se stesso, fuori dal treno della ripresa internazionale; con gli italiani più divisi delusi disorientati e pronti con l’assenteismo dalle urne a “farla pagare a tutti”. L’inverno “glaciale” alle porte gela le speranze di chi pensa in una sinistra rinsavita e in un centrosinistra di governo. Un governo forse possibile solo con un inedito rabberciato patto fra Renzi e Berlusconi nel segno della “responsabilità nazionale”. A meno che, con Pd e sinistra allo sbando e il M5S crogiolato nel suo splendido isolamento, il centrodestra non faccia il pieno dei voti. A quel punto il rais di Arcore sarà l’unico “burattinaio” in un gioco dove anche Matteo conterà come il due di briscola con l’asso in tavola. A meno che la sinistra sparigli il gioco, tiri subito fuori l’uomo nuovo capace di sbarellare tutto senza guardare in faccia a nessuno, Renzi compreso. Grasso, leader in provetta? Non scherziamo. Gentiloni uomo di Matteo e premier di un governo grigio? Minniti, ministro duro con i deboli, che ha messo i migranti sotto il tappeto della vergogna? Mah! Allora. Allora si torna al gioco dell’oca.

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