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Politica
Renzi, se il terremoto diventa “manna” dal cielo


Era un’altra Italia quella del 24 novembre 1980 quando in tv il presidente della Repubblica Sandro Pertini denunciava le colpe del potere e il ritardo e le inadempienze dei soccorsi nel terremoto in Irpinia e in Basilicata (3000 morti, 10 mila feriti, 300 mila sfollati) esortando gli italiani alla solidarietà e ammonendo la politica a lasciar da parte recriminazioni e polemiche per l’opera di aiuti e per la ricostruzione. Era un’altra Italia quando nei luoghi della tragedia venivano fermate le ruspe per fare passare la processione delle macchine blu delle autorità. In quelle situazioni tragiche, sin dal dopoguerra, la polemica fra i partiti era aspra, ad uso elettorale: ogni volta il Pci, in parlamento e nel Paese, faceva il diavolo a quattro contro la Dc al grido: “La terra trema, governo ladro e inetto”. Ma i comunisti italiani, con in testa i capi, erano i primi (spesso spalla a spalla con i preti) a spalar fango per salvare vite umane e a tirar su argini e mattoni per ricostruire. Di fatto, al di là della prima assistenza alle popolazioni colpite, per lo più fatta da volontari, tutto o quasi restava però come prima, fino alla successiva tragedia. Cosa è cambiato in questi anni? Restano le lacrime sopra i morti e la disperazione sulle macerie, restano le passerelle dei politici con il pianto da coccodrillo, promesse e cialtronerie, corruzione e burocrazia come fameliche piovre. E’ proseguita l’incuria e la rapina del territorio, si è andati avanti con i “ritocchi” a macchia di leopardo e pro tempore, è mancata una volontà e una capacità politica  di programmazione in grado di mettere in sicurezza (non solo antisismica) il territorio italiano e gli edifici, in gran parte a rischio, ieri come oggi.

Le tragedie come l’ultima di Amatrice e dei paesi limitrofi non sono solo colpa del destino. L’accusa del procuratore capo di Rieti grida giustizia: “Palazzi con più sabbia che cemento”. Anche stavolta, di sicuro, c’è già chi tesse la solita rete politico-affaristica per speculare e lucrare, sciacalli fra scacalli, sulle disgrazie.

Ha scritto l’altro ieri a caldo il direttore di Affaritaliani Angelo Maria Perrino: “Il sisma lo scatena la natura, certo. Ma le case cascano sulla testa delle persone perché non sono state messe in sicurezza con tecniche e materiali antisismici. Nonostante i precedenti, le esperienze internazionali, la prevedibilità degli eventi”. Già. Al di là delle parole di cordoglio, spesso banalità di circostanza come quelle del premier Renzi (che però con l’effetto sisma guadagna punti sulla fiducia spingendo anche i “sì” al referendum), dopo le ripetute tragedie e i mille segnali di allarmi lanciati nei convegni tecnico-scientifici, la politica è stata ed è colpevolmente latitante e ancora oggi ci si deve affidare alla Provvidenza, sperando – come nell’assalto alla trincea –  che il “colpo” vada altrove. Che fare? Fare quel che da decenni non si fa più: la programmazione, vere riforme strutturali, in questo caso un piano pluri decennale per mettere davvero in sicurezza anti sismica il territorio nazionale, chiedendo e ottenendo dall’Unione Europea - come ha fatto rilevare l’ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Enzo Boschi - la flessibilità nei parametri, ridando anche una spinta all’edilizia volano per la ripresa economica. Questo può e deve fare un premier impegnato sui fatti! Un po’ – su un terreno diverso - quel che fece negli anni ’50 l’allora ministro del Lavoro e della previdenza Sociale Amintore Fanfani varando il Piano Casa, inizialmente dalla durata di sette anni poi prorogato di altri sette, alla fine un Piano ventennale per dare alloggi e occupazione ai lavoratori e ai ceti più bassi, spingendo l’economia, spaccando la sinistra e isolando le destre. Un successo, anche per il decisionismo concreto imposto dal professore aretino. In poche settimane la legge diventava operativa con 650 cantieri aperti subito, diventeranno oltre 5 mila, 3000 alloggi realizzati e consegnati ogni settimana, dopo 15 anni impegnati oltre 700 mila lavoratori e costruiti quasi 500 mila alloggi! Anche per questo Fanfani conquistò partito e governo e la Dc milioni di voti. E oggi l’ex diccì Renzi, premier e segretario del Pd fatto soprattutto da ex Pci delusi e da qualche reduce della sinistra democristiana, torna a ripensare al prof aretino, non certo per riprendere quel Piano Casa riadattandolo alle esigenze di risanamento del territorio-gruviera e degli edifici-cartapesta ma, salendo sull’onda del sisma, per ravvivare con nuove alleanze e nuove trovate la fiammella del proprio governicchio in via di logoramento e cercando di sfuggire alla tenaglia del referendum. Di fatto, all’emergenza del terremoto si sovrappone l’emergenza della politica con tutti i nodi irrisolti nel dopo ferie, ma anche il tentativo di aprire una nuova stagione politica passando con la ricucitura del (mai defunto) Patto del Nazareno verso la sponda del nuovo grande partito moderato e riformista di “centro”: la DC del nuovo millennio. Una operazione strategica, non in tempi rapidi e non priva di rischi ma tutt’altro che impossibile, ripartendo dall’abbraccio apparentemente soft, fra Renzi e Berlusconi. La tragedia del terremoto diventa “manna” dal cielo, l’occasione per consentire al rais di Arcore di tornare a tirare i fili che contano, abbassare i toni nei confronti del governo, in nome di quella “solidarietà nazionale” più utile a fermare Grillo e Salvini che a far ripartire le zone terremotate e il Paese. Con la benedizione del presidente Mattarella e del presidente emerito Napolitano. E con D’Alema, Bersani&C appesi al… muro della storia dimenticata.

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