Renzi vuole il modello Marchionne. Ecco il piano per salvare l'ex Ilva
Michele Anzaldi spiega ad Affaritaliani.it la strategia dell'ex premier
Matteo Renzi ha in mente il modello Sergio Marchionne e l'acquisizione di Chrysler da parte della Fiat per il salvataggio dell'ex Ilva. A spiegare in un'intervista ad Affaritaliani.it il progetto dell'ex premier ed ex leader del Partito Democratico è Michele Anzaldi, deputato di Italia Viva. "In questo momento l'importante è costringere chi ha firmato il contratto, ovvero ArcelorMittal, a rispettarlo. Se decide di alzarsi dal tavolo e andarsene, paga le penali e poi si vedrà...".
Ovvero? Che cosa potrebbe accadere? "Il modello è simile a quello che fece Marchionne quando arrivò in Fiat, aveva un contratto con la General Motors e quando il colosso americano non ha rispettato i termini del contratto ha incassato molti soldi con le penali. E con quella liquidità ha chiuso l'acquisizione della Chrysler". Renzi pensa a Jindal? Sta lavorando alla cordata alternativa? "Renzi lavora per fare sistema. L'Italia compatta deve pretendere il rispetto del contratto. Se non è così, pagheranno le penali e a quel punto Jindal o altri gruppi internazionali potrebbero intervenire sull'ex Ilva. D'altronde se voglio acquistare un'auto e a 10 euro è cara, se poi costa 5 magari sono interessato. Ma questa sarà un'altra fase che si aprirà più avanti".
Secondo l'esponente di Italia Viva, "se ArcelorMittal capisce che deve pagare molti soldi di penali e in più arriva un competitor con un progetto alternativo che vende acciaio di ottima qualità in Europa ci pensa due o tre volte. La strategia di Renzi in questo momento è questa: fare sistema, tutti uniti per costringere a rispettare il contratto e se non rispetta paga le penali. Soldi con i quali, successivamente, si potrà chiudere con Jindal o con un altro player internazionale del settore. Insomma, il modello Marchionne. E sono sicuro che se ci fosse stato Marchionne avremmo già chiuso", conclude Anzaldi.
IL CASO FIAT-GENERAL MOTORS/
13 febbraio 2005. Divorzio consensuale tra Fiat e General Motors. Quando sembrava ormai incombere la minaccia di un’azione legale incrociata, con la Fiat intenzionata a far valere il suo diritto all’opzione put (ossia ad essere acquistata dalla GM, come prevedeva l’accordo iniziale), si è giunti ad un accordo. In questo modo GM si è sfilata da una joint venture che le sarebbe stata economicamente insostenibile, mentre Fiat si è liberata di un’alleanza che le impediva comunque di pianificare fino in fondo il proprio futuro.
La rescissione dell’accordo non è stata “indolore”: alla GM è costata 1,55 miliardi di euro. Quindi GM ha pagato alla Fiat 1,55 miliardi di euro per mettere fine al Master Agreement, inclusa l’opzione put. GM ha dovuto restituire a Fiat la quota del 10% che ancora possedeva in Fiat Auto. L'intesa scioglie tutte le joint venture e prevede la restituzione del 10% detenuto dagli americani nella Fiat Auto Holding.
Le parole di Sergio Marchionne dell'epoca: “Le alleanze onnicomprensive non funzionano perché sono l’equivalente di una vendita. Dobbiamo fare alleanze mirate. Credo fermamente che l’accordo raggiunto oggi con la GM sia giusto ed equo per entrambe le parti. Da un lato, infatti, consente la valorizzazione della put option prevista dal Master Agreement, mentre dall’altro garantisce alla Fiat tutta la necessaria libertà per sviluppare il Settore Auto. Possiamo oggi focalizzarci sulla Fiat Auto e dedicare tutte le nostre energie per rafforzare e razionalizzare i nostri marchi, sviluppando una rete commerciale forte e in grado di massimizzare il successo dei nostri nuovi prodotti. Il beneficio del rapporto con la GM sarà mantenuto attraverso un accordo di fornitura a lungo termine ed altre forme di cooperazione come la partecipazione di Fiat nell' alleanza acquisti della GM".
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