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Politica
Sicilia, un voto “specchio” dell’Italia?

Fino all’ultimo, il voto in Sicilia si gioca su tatticismi fra partiti e candidati, un valzer di promesse (fino al rilancio della realizzazione del ponte sullo Stretto), senza programmi e progetti di rilancio in una realtà disgregata, in ginocchio.

“Queste regionali – dice il siciliano ex Pci Emanuele Macaluso – sono il simbolo della decadenza di un Paese senza più cultura politica dove non si scontrano visioni opposte del mondo ma slogan senza alcun contenuto”. Già. E’ una anteprima di quel che succederà presto nella lunga campagna elettorale che da lunedì s’accende per le elezioni politiche nazionali. Il risultato di queste elezioni con 4 milioni chiamati alle urne, pare scontato: con un forte astensionismo; con il flop del Partito democratico e della sinistra; con il M5S che terrà tutti al gancio con un inutile pieno di voti; con la vittoria del centrodestra pur dopo il “nulla” dei governi nazionali di Berlusconi per il Sud e dopo l’assordante antimeridionalismo da bettola di Salvini e della destra.

Tant’è. Cancellato in campagna elettorale, il “nodo Sicilia” baricentro della “questione meridionale”, resta nei fatti, espressione di una Italia a due velocità, dove non si sa più chi pedala e chi succhia le ruote. Scriveva Giorgio Amendola: “ La questione meridionale è la divisione dell’Italia in due parti, di cui una parte paga con la sua arretratezza la possibilità di sviluppo dell’altra parte, del Nord. Non due società, una sola società, ma nella quale poi una parte paga per l’altra”. Oggi la Sicilia annaspa perché l’autonomia è oramai fuori tempo, utile come centro di potere e di affari. Da qui una campagna elettorale sulla “fuffa”. Tiene banco la polemica sui candidati “impresentabili”. Non una parola sulla fuga all’estero dei giovani laureati e, all’opposto, sulla burocrazia gonfiata succhia risorse con oltre 50 mila dipendenti pubblici. Non una parola su una crisi economica devastante che in meno di dieci anni (2007 – 2015) ha falciato dell’11,9% il Pil del Sud contro il -6,7% del Centro e il -5,7% del Nord Ovest e il – 5,9% del Nord Est.

Un Mezzogiorno dove la produttività è più bassa del 22% rispetto alle altre zone d’Italia, dove occupazione, potere d’acquisto, welfare sono in caduta libera. In caduta libera al pari del personale politico, per lo più composto da imbonitori o nominati senza selezione democratica, e degli stessi partiti, totalmente sfarinati e sul territorio in mano ai capi-bastone dediti alla raccolta del consenso nella commistione perversa fra politica e affari. In questo quadro poco conta il nome del candidato ed è facile capire perché la gente poi non fa più differenza nella logica negativa del: “tutti uguali!”. In questa palude, comunque qualcuno uscirà vincitore dalle urne ma sconfitta sarà la Sicilia, sarà il Sud, sarà l’Italia. Anche fra i partiti e i leader nazionali il voto siciliano lascerà un segno.

Il Pd è sfiatato per le sue beghe interne, incapace di lanciare nel Paese una credibile proposta politico-elettorale utile anche ad arginare l’ondata del M5S da una parte e quella del centrodestra dall’altra. Pd e sinistra pagheranno un conto elettorale salatissimo per i danni fatti negli ultimi mesi, si può dire negli ultimi anni. La debacle in Sicilia, poi l’annunciata batosta alle prossime politiche, non sono il frutto del “destino cinico e baro” di saragattiana memoria ma il risultato di miopia politica e di limiti ed errori di un intero gruppo dirigente. Nessun appello al “voto utile” sarà premiato dall’elettorato e non è detto che ciò dispiaccia più di tanto a Renzi cui sta bene un Pd attorno al 30% e, sull’altro fronte, una Forza Italia a metà di questa percentuale. Per la sinistra presa nella sua globalità, il danno, gravissimo, è già fatto e non si vede come oggettivamente può essere recuperato nelle prossime settimane prima delle urne alle politiche. Renzi, in zona Cesarini, imporrà a Gentiloni una manovra di Bilancio elettoralistica.

Ciò non basterà per far recuperare al Partito Democratico il terreno perduto. Poi nel Pd e nel minestrone alla sua sinistra sarà la solita caccia dei capri espiatori. Cercare colpevoli è un esercizio inutile se non c’è una volontà e una capacità di analisi politica che individui le cause profonde della crisi e le linee di un rilancio, certamente assai travagliato. Così, alle prossime politiche non ci saranno vincitori. Gli italiani si troveranno a dover scegliere: se finire sulla padella rovente del centrodestra populista a trazione Salvini o precipitare nella brace ardente del M5S anti sistema. Di fronte a questo dilemma la possibile via di fuga per evitare il precipizio sarà l’abbraccio fra Renzi e Berlusconi, una inedita maggioranza di centrosinistra (si fa per dire) imposta dagli eventi e favorita dal Rosatellum, appena promulgato dal Colle. Ecco perché Renzi sta’ sereno. E Berlusconi più di lui, anche se il flop televisivo nell’intervista fatta da Costanzo su Canale 5 imporrà qualche correzione di rotta.

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