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Politica
Tav, Di Maio nel “cul de sac”. Il piano B di Salvini

Non è mai stata la paura di una crisi al buio ad evitare il ko di maggioranze e di governi considerati solidi, a “prova di bomba”. Anche per le sorti di questo governo, oggi nel gorgo del Tav, decisive sono le convenienze politiche dei partiti che lo sostengono e quelle delle rispettive leadership. In una coalizione fra forze diverse c’è sempre un tema che divide, un nodo da sciogliere, una sintesi politica da ricercare. Il Tav contiene “pro” e “contro” e farlo o no ha conseguenze sul piano economico e su quello delle relazioni internazionali. C’è un rapporto costi-benefici che va messo e rimesso sulla bilancia ridiscutendone aspetti del progetto, senza liquidarlo. Ovvio che una decisione va presa, adesso.

Ma i nodi veri sono altri. La questione non è tecnica, è squisitamente politica e attiene alla caratterizzazione identitaria dei due partiti di governo, specie del M5S, con in ballo il rapporto con il proprio elettorato e con il tema più generale del consenso. Al di là delle legittime diatribe intestine con le ripetute e poco edificanti prove muscolari, nè Di Maio nè Salvini vogliono far saltare la maggioranza per i rischi derivati dalle possibili elezioni anticipate. E’ l’unico punto che trova d’accordo anche il neo segretario del Pd Zingaretti, già impegnato a recuperare consensi per le prossime Europee di maggio e non certo pronto per elezioni politiche a breve, con un partito da ricostruire. Dal Colle c’è l’auspicio per una ricomposizione nella maggioranza, escludendo in caso di crisi, esecutivi tecnici e accettando il ricorso alle urne. Il campo è minato. Salvini, sornione, procede a zig-zag, con lo “stop and go”, sa di avere il coltello dalla parte del manico, forte del vento in poppa che spinge la Lega sul piano elettorale e soprattutto in grado di disporre di una alternativa di governo pronta in caso del patatrac con il M5S.

E’, infatti, tutt’altro che campata in aria l’ipotesi di una maggioranza alternativa di centro-destra (Lega-Forza Italia- FdI) con addirittura Salvini premier. Una strada, questa, non priva di difficoltà e di rischi per la ingombrante presenza del mai domo Berlusconi ma anche per quella della “federale” Giorgia Meloni di tradizione ex Msi ex An: comunque una ipotesi fattibile sul piano dei numeri (elettorali) e su quello delle compatibilità politiche e programmatiche. Di Maio, all’opposto, rischia tutto, sia personalmente che come partito. Ovvio che, in caso di rottura, Salvini lascerebbe a Di Maio il cerino acceso della crisi, con pesanti costi alle urne per il M5S. L’intransigenza ideologica non ha mai pagato in termini elettorali. La giara rotta non si ricompone e se la maggioranza salta non ne nasce un’altra dello stesso colore con gli stessi protagonisti. Salvini e la Lega hanno già una sponda pronta cui approdare. Dove vanno e con chi vanno Di Maio e il M5S? Con il Partito democratico? Mancano i numeri. Troppe incompatibilità politiche e programmatiche sia sul modo di intendere e di fare il partito e la politicache sui programmi, a cominciare proprio dal Tav, ben visto dal Pd.

Rompendo con Salvini e la Lega Di Maio e il M5S si infilerebbero diritti nel “cul de sac”. Si ripropone, in tempi e modi assai diversi, quanto già accaduto al Pci, forte anche elettoralmente ma impossibilitato per la “conventio ad escludendum” e per la propria boria della “diversità” ad avere alleanze di governo, condannato all’isolamento politico, fuori dalla stanza dei bottoni. Un gigante dai piedi d’argilla. E’, inevitabilmente, la sorte dei partiti “ideologici”, chiusi nelle loro diamantine certezze,confinati all’opposizione, condannati all’irrilevanza politica. Ora, dai fortilizi dei due partiti di maggioranza c’è il via-vai di “incendiari” e “pontieri”, un passarsi di mano il cerino acceso fra chi conferma: “La crisi è già aperta” e chi smentisce, come lo stesso Salvini: “Nessuna crisi, con il buonsenso si risolve tutto”. Ma, si sa, il buonsenso non basta, serve la volontà politica. E capire quando non conviene tirare ancora la corda perché si spezza e torna sul proprio viso. Di Maio e Salvini devono ritrovare la “bussola” che eviti il crac e legittimi politicamente la continuità di una alleanza difficile ma ancora necessaria per il Paese. Serve una mediazione utile e credibile, non una “mascherata”. Qual è il ruolo del premier Conte? Ecco la via d’uscita: Conte smetta i panni del notaio e batta un colpo. Tocca al premier la sintesi politica e tocca agli altri accettarla, ob torto collo. Prendere o lasciare.

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