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Politica
Sinistra, ecco perché perde: dalle nazionalizzazioni ai mercati senza regole
Foto Instagram Matteo Renzi

Di Carlo Patrignani

Tornano le "nazionalizzazioni" di servizi e beni universali: sanità, energia, istruzione, scuola, ricerca, trasporti. E persino del sistema di Welfare devastato a partire dai primi anni del duemila da tagli e privatizzazioni a iosa. 

E' quel che accadeva nei primi anni '60 quando con l'orginale centro-sinistra riformatore gli interessi collettivi erano prioritari rispetto a quelli privati: e così tra il '62 e il '63 vennero la nazionalizzazione delle industrie elettriche; la scuola media unica; la riforma dei consorzi e il superamento della mezzadria; l'avvio con il riconoscimento giuridico dei diritti sindacali e politici dei lavoratori sul luogo di lavoro dello Statuto dei diritti dei lavoratori approvato nel 1970 (la legge 300 con l'art.18 sulla "giusta causa" per i licenziamenti); la riforma urbanistica o dei suoli e l'abolizione di quel segreto bancario che rendeva il sistema bancario "una rocca inaccessibile". 

Una ventata di grandi riforme finalizzata, attraverso "le riforme di struttura", a cambiare radicalmente le condizioni e la qualità di vita della 'povera gente', dei ceti meno abbienti. Ma, al tempo stesso, era un processo riformatore, per natura e obiettivi, che andava bloccato e fu bloccato dai "poteri forti", proprio sulla riforma urbanistica o dei suoli e sul segreto bancario: i capitali, alias i profitti, non avrebbero potuto diventare rendite fondiarie e avrebbero trovato la via di fuga (all'estero) se non sbarrata almeno meno facile.

Siamo tornati insomma a mezzo secolo fa quando l'anticapitalismo con i valori di libertà, uguaglianza, giustizia sociale e politica, era nelle mani della sinistra, e in particolare di una sinistra fortemente riformatrice che proponeva un progetto di società non ispirato al capitalismo industriale di quei tempi o alll'ideologia imperante del "meno Stato più mercato" nè al sistema illiberale sovietico di quel  comunismo realizzato finito sotto le macerie del muro di Berlino, ma all'utopia di "una società più ricca perchè diveramente ricca", una sorta di società "for the many not the few".  

Oggi tutto questo patrimonio ideale, culturale e politico è passato di mano: l'anticapitalismo, le nazionalizzazioni, il diritto a un lavoro e un salario dignitosi, a un reddito indispensabile alla sopravvivenza, come il reddito di cittadinanza, meglio sarebbe l'universal basic income, la qualità della vita, sono sempre meno temi della sinistra, ad eccezione del Labour Party di Corbyn o dei DSA (i socialisti democratici d'America) di Sanders, e sempre più di partiti e movimenti populisti anti-establishment di destra, di sinistra, nè di destra nè di sinistra. 

La sinistra italiana (il Pd soprattutto) ed europea (socialdemocratici e socialisti) hanno scelto la modernità, quella dei mercati senza regole e del consumismo senza freni: quindi privatizzazioni, liberalizzazioni, acquiescienza al neocapitalismo finanziario dimenticando forse che i mercati non esistono, esiste invece il superpagato management delle multinazionali che governano il mondo. E' per questo che milioni e milioni di elettori, che non sono un gregge che poi alla fine si adegua, l'hanno abbandonata: alle elezioni europee di maggio prossimo si saprà se per sempre...

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