Politica
Vannacci non vale più del 2% a livello nazionale. Una sfida delicata per la Lega di Salvini
L'ex generale è una figura di “outsider istituzionale”

Roberto Vannacci
Vannacci ha sì un seguito vero, ma non è un leader di massa
Roberto Vannacci rappresenta un fenomeno politico identitario e polarizzante, con un seguito reale ma limitato, che pone sfide strategiche alla leadership di Matteo Salvini nella Lega.
Vannacci, il generale diventato eurodeputato e vicesegretario della Lega, è oggi uno dei volti più controversi del panorama politico italiano. Le sue recenti dichiarazioni sul fascismo — tra revisionismo storico e provocazione ideologica hanno riacceso un dibattito profondo non solo nel Paese, ma anche e soprattutto all’interno del suo stesso partito.
Dal punto di vista politologico, Vannacci incarna una figura di “outsider istituzionale”: proviene dalle Forze Armate, dai reparti di “incursori”, e proprio per questo ha saputo costruirsi in modo non convenzionale un profilo politico fondato su una retorica nazionalista, anti-globalista e anti-politically correct. Il suo linguaggio diretto, spesso provocatorio, lo rende un catalizzatore di consensi in ambienti di destra radicale, ma anche un elemento potenzialmente destabilizzante per un partito come la Lega, che cerca di mantenere una posizione più istituzionale.
Vannacci ha sì un seguito vero, ma non è un leader di massa. La sua elezione al Parlamento europeo è avvenuta grazie a una forte esposizione mediatica e al sostegno di una parte dell’elettorato leghista più radicale. Tuttavia, non esistono al momento dati che attestino una sua capacità di attrazione autonoma superiore al 2% su scala nazionale. Il suo pubblico è composto da segmenti molto specifici: militari e ex militari, elettori di destra radicale, delusi dal sistema politico tradizionale, simpatizzanti di movimenti di estrema destra e sovranisti.
All’interno della Lega, Vannacci è vicesegretario, però la sua posizione è tutt’altro che salda. Le sue uscite pubbliche hanno generato imbarazzo e tensioni, come dimostrano le critiche esplicite di Luca Zaia e le reazioni prudenti dello stesso Salvini. Il partito è diviso tra chi lo considera una risorsa per intercettare voti “di pancia” e chi lo vede invece come un rischio per l’immagine moderata della Lega.
Al momento presente, e al di là delle dichiarazioni formali dell’interessato, non è chiaro se Vannacci voglia realmente restare nella Lega oppure costruire un proprio percorso politico autonomo. La sua ambizione personale, e il tono sempre più “a ruota libera” delle sue dichiarazioni, lasciano aperta la possibilità di una scissione o di una candidatura fuori dal partito.
Dunque, per Matteo Salvini, Vannacci costituisce una sfida strategica da affrontare. Ignorarlo significherebbe perdere una fetta di elettorato radicale; sostenerlo apertamente rischia di alienare i moderati e danneggiare l’immagine del partito. La mossa più razionale per Salvini sarebbe di fare due cose: 1) definire con chiarezza i confini ideologici della Lega, prendendo le distanze dalle posizioni revisioniste; 2) utilizzare Vannacci come “satellite” elettorale, senza integrarlo pienamente nella linea ufficiale. Il tutto però anche preparandosi a un eventuale distacco, così da poter gestire la transizione in modo da non perdere troppo consenso.
In sintesi, Vannacci è un sintomo della complessità di posizioni della destra italiana (maggiore di quella che appare in superficie), e la sua parabola politica sarà un test cruciale per la tenuta e l’evoluzione della Lega. Salvini dovrà scegliere se contenerlo, cooptarlo o lasciarlo andare — ma, come sempre nella vita, ogni scelta avrà un prezzo.
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