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Politica
Vittorio Emanuele, nel 150° Unità ignorato da Napolitano. Mentre Berlusconi...

Vittorio Emanuele di Savoia e quella celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Ignorato da Napolitano finì... tra le braccia di Berlusconi

Era il 17 marzo 2011. Chi è esperto di storia patria avrà realizzato immediatamente che si tratta della data di un anniversario importante. Parliamo del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Un secolo e mezzo prima, con la Legge n.4671 del 17 marzo 1861 del Regno di Sardegna, un unico articolo stabiliva con una formula estremamente sintetica e perentoria che “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e pei suoi successori il titolo di Re d’Italia”. Una robetta non da poco.

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Celebrazioni imponenti erano state già previste in occasione di precedenti anniversari: nel 1911 fra le altre manifestazioni fu addirittura inaugurato il monumento del Vittoriano in Piazza Venezia, quello che attualmente ospita l’Altare della Patria con la tomba del Milite Ignoto. Nel 1961 si tenne a Torino l’Expo internazionale del Lavoro. Nel 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano volle che fossero fatte le cose in grande. Fu costituito un gruppo di missione presso la Presidenza del Consiglio per la promozione e realizzazione di centinaia di opere e iniziative su tutto il territorio nazionale. Un anno dopo, con la legge 23 novembre 2012, n. 222, che detta norme sull’acquisizione di conoscenze e competenze in materia di «Cittadinanza e Costituzione» e sull’insegnamento dell’inno di Mameli nelle scuole, il 17 marzo, fu intitolata come «Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera», allo scopo di ricordare e promuovere i valori di cittadinanza e di consolidare l’identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica.

Anniversario fondamentale, per molti versi unificante, perché consolida le radici storiche di un Paese che ha vissuto una profonda divisione tra le origini monarchiche di Casa Savoia e il passaggio alla Repubblica a seguito del referendum del 2 giugno 1946. E per celebrare queste radici, il Presidente della Repubblica volle deporre una corona d’alloro all’Altare della Patria alla stregua delle altre Feste nazionali del 25 aprile del 2 giugno e del 4 novembre, mentre una circolare della Presidenza del Consiglio instaurò l’uso protocollare di prevedere deposizioni anche sulle tombe dei cosiddetti Padri della Patria Camillo Benso di Cavour a Santena (To), Giuseppe Mazzini a Genova, Giuseppe Garibaldi a Caprera e Vittorio Emanuele II al Pantheon di Roma.

Il 17 marzo 2011 il Presidente Napolitano si recò personalmente a rendere omaggio al primo re d’Italia. Al Pantheon un tappeto rosso tracciava il percorso che il Capo dello Stato avrebbe percorso, preceduto da una corona d’alloro, per raggiungere la tomba di Vittorio Emanuele II. Napolitano era accompagnato dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal Presidente del Comitato dei garanti per la celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia Giuliano Amato.

Per l’occasione e con largo anticipo sull’orario della deposizione, anche l’erede di Casa Savoia Vittorio Emanuele con la moglie Marina Doria e il figlio Emanuele Filiberto giunsero al Pantheon, non previsti e non annunciati. Il solerte cerimoniale negò loro la passerella sul red carpet e li fece accomodare oltre una barriera di tendiflex, dove comunque avrebbero potuto assistere comodamente alla cerimonia.

Il Presidente della Repubblica arrivò all’orario convenuto, depose solennemente la corona d’alloro e, dopo qualche secondo di raccoglimento e di consuetudinaria sistemazione del nastro tricolore, fece il percorso a ritroso (sul tappeto rosso) e lasciò il Pantheon senza neanche alzare lo sguardo verso gli eredi di casa reale. Chi si attendeva una clamorosa stretta di mano tra il figlio di Umberto II e il Presidente Napolitano (tra l’altro molto somigliante fisicamente al re suo padre) rimase deluso. Il Presidente del Consiglio e Giuliano Amato si avviarono a seguire il Capo dello Stato, ma Berlusconi non riuscì a trattenersi (era più forte di lui), allargò le braccia e con un ampio sorriso corse incontro a Vittorio Emanuele e lo abbracciò calorosamente. Napolitano era già andato via. Giuliano Amato si fermò, rimase per un attimo ad osservare perplesso e imbarazzato la scena, poi scuotendo la testa e mormorando un “No, io non ce la faccio!”, uscì dal tempio, lasciando Berlusconi fra le braccia del pretendente al trono.

Fine dell’ipotetico tentativo di incontro, dove ognuno dei vari protagonisti interpretò il proprio ruolo a modo suo.

* Enrico Passaro, già responsabile dell'Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha visto sfilare a Palazzo Chigi ben sette premier, da Silvio Berlusconi a Mario Draghi, passando per Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte.






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