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Le creazioni di Marina Corazziari nei riflessi d’arte di Luigi Vanvitelli

Continua l’itinerario a tappe nei “templi di bellezza” di Marina Corazziari, che dopo Roma - Stadio di Domiziano a Piazza Navona e la Sala degli Affreschi dell’Ateneo di Bari, approda a Palazzo Dogana a Foggia, ospite della Consigliera di Parità, Antonietta Colasanto, e della Presidente della Sezione Foggia-Capitanata della Fidapa-BPW la Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari, Rosa D’Onofrio, per un incontro-studio dal titolo "Ri-definire il gioiello. Creatività = Efficacia delle politiche economiche, sociali e culturali". A cui ho avuto modo di partecipare insieme al Presidente della Provincia di Foggia, Francesco Miglio, e all’Antropologa Patrizia Resta.

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Voler stabilire corrispondenze tra espressioni artistiche di epoche storiche diverse non è esercizio fine a se stesso, ma il tentativo di leggere come le stratificazioni nel tempo possano essere state caratterizzate dalla cosciente o inconsapevole influenza, determinata dagli ambiti circostanti e dalle affinità creative - più o meno accentuate - degli autori o degli artisti in questione. Un’ottima occasione si offerta con questo appuntamento e con l’incrocio tra le linee architettoniche di un grande architetto, Luigi Vanvitelli, e le creazioni artistiche di Marina Corazziari.

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Scenario: la sontuosa Sala del Tribunale a Palazzo Dogana, un palazzo che ha segnato la storia e le vicende della città di Foggia che, come Cerignola, Manfredonia e San Severo, dovrebbe cominciare ad essere stanca di “fare cronaca” e decidere con determinazione di ricominciare a “fare storia”!

Un palazzo presidio “episcopale” con i Vescovi che l’hanno voluto e fatto realizzare, a cominciare da Mons. Emilio Giacomo Cavalieri che ne vide ultimata la costruzione nel 1724 e lo destinò ad ospitare il Collegio dei Gesuiti (la loro casa residenziale) e la Biblioteca, che lo stesso Mons. Cavalieri vescovo di Troia - da cui Foggia dipendeva - aveva donato ai seguaci di sant’Ignazio di Loyola. Biblioteca che sarà al centro di una lunga controversia tra l’Ordine del “Papa nero” e il successivo vescovo Giovanni Pietro Faccolli.

Ma soprattutto da un terzo porporato, di solito poco citato, ma determinante per il futuro di questo Palazzo: Marco De Simone, amico di vecchia data di Luigi Vanvitelli - già all’epoca del terremoto del 1731 e prima che l’immobile diventasse presidio civico, giurisdizionale ed economico di questo ambito territoriale, al centro del vivace dedalo dei tratturi di “transumanza”. Funzioni e poteri, questi, da sempre in capo all’Episcopus, tanto da diventare motivo scatenante di contesa - nella famosa lotta per le investiture, già ai tempi di Roberto il Guiscardo - che proprio nella Diocesi di Troia vide giocarsi la partita più strategica.

Un palazzo che, per conoscerne meglio le vicissitudini, va contestualizzato col suo “gemello” troiano, di cui mi sono occupato nel mio libro “EPISCOPIVS TROIANVS”- Edizioni Gelsorosso 2012, alcune pagine del quale sono tra le più adatte ad accompagnarci nei risvolti di questo appuntamento che ha intenso celebrare la bellezza senza tempo, attraverso i gioielli-scultura  di Marina Corazziari, nei riflessi d’arte di Luigi Vanvitelli.

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Ancora mezz’ora e sarebbe atterrato a Firenze. Il Gran Tour di Kaspar jr. si sarebbe dispiegato sulle tracce accattivanti di linee architettoniche familiari e lungo i riverberi di sentimenti devozionali insistentemente tramandati. Un percorso che avrebbe portato il giovane Van Wittel alla ricerca delle pagine nascoste di una storia senza fine.

Proprio a Firenze, il futuro vescovo Marco De Simone, coevo e amico, aveva suggerito a Luigi Vanvitelli di recarsi a visitare e visionare i suggestivi giardini dei palazzi nobiliari, e trarre ispirazione al grande progetto per la prestigiosa commissione ricevuta dal re di Napoli, Carlo III di Borbone: la costruzione della Reggia di Caserta. Ma fu solo due anni dopo, nel memorabile 1752, per l’apposizione della prima pietra della Reggia 1 e per la nomina del suo amico a Vescovo di Troia, che leggerà come un segno premonitore l’attrazione riscontrata nel visitare il Giardino di Palazzo Pandolfini. Un giardino all’italiana di una famiglia che contava e vantava ben due vescovi di Troia, Giannozzo Pandolfini (+1484 – 1514) e il nipote Ferdinando Pandolfini (+1514 – 1560). 

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Il complesso era stato progettato da Raffaello Sanzio (realizzato sotto la direzione lavori di Gian Francesco da San Gallo), su richiesta del vescovo-zio, che aveva conosciuto a Roma durante la soprintendenza della Fabbrica della Basilica di San Pietro in Vaticano. Ciò che l’aveva particolarmente colpito ed incuriosito era stato quell’Orto di Troia, incastonato come una gemma preziosa nel Giardino, dove continuavano ad essere coltivati carciofi, insalate, rucola, melanzane, tanni di zucca, fichi, ulivi e uva del Nero di Troia, che Giannozzo Pandolfini aveva voluto portare con sé al termine del suo mandato. A testimonianza di un affetto e di un legame saldamente e profondamente radicati con la comunità della cittadina dauna, da curare e tramandare attraverso una sana, intima e “benedetta” contaminazione naturale. 

Gli schizzi di quel Giardino, di quel Palazzo e di quell’Orto saranno il dono dell’amico di sempre a Marco De Simone, quando il 23 luglio salirà la Cattedra della Diocesi di Troia (la nomina era arrivata il 17 luglio, prima dei festeggiamenti per i Santi Patroni). E forse anche per questo, quando sarà deciso di dare una sede episcopale adeguata al prestigio e all’importanza di questa diocesi, S.E. Mons. De Simone penserà a Luigi Vanvitelli. Su suoi disegni, in particolare quelli predisposti per il Palazzo della Dogana di Foggia, sarà progettato il nuovo 'Episcopium Troianum'. Ristrutturando la sede del nuovo seminario voluto da Mons. Emilio Giacomo Cavalieri, che era stato costruito in appoggio e continuità del precedente Episcopio, quello che Mons. Giannozzo Pandolfini agli inizi del 1500 aveva affidato, ancora una volta anche a Troia, alle idee progettuali di Raffaello Sanzio.

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Nomi altisonanti che ci portano a scoprire quanti incroci, intrecci inconsapevoli, giochi di sponda inaspettati, sovrapposizioni affascinanti possiamo ritrovare tra la forza innovativa di Luigi Vanvitelli e lo spirito creativo di Marina Corazziari. Una vera e propria “forza dello spirito”, che continua pervicacemente ad essere motore della bellezza intramontabile.

“Parlami di Dio, chiese al mandorlo il poeta”, ricordava Nikos Kazantzais, “E il mandorlo fiorì!”; insieme alla celeberrima esortazione di Dostoevskij, alla Nascita di Venere e alla Primavera del Botticelli restano, indelebili, tra i canti più sublimi alla Bellezza.

Alla Bellezza che resta espressione delle due facce di una stessa medaglia: la Purezza. In pratica, di due “eccessi”: la Semplicità e l’Assoluto o se vogliamo declinarli meglio: la Povertà e la Nobiltà.

Ora, i due architetti Vanvitelli e Corazziari (entrambi rampolli di famiglie immigrate: dall’Olanda e da Modena: chissà perché entrambi paesi di biciclette), perseguono entrambi “riflessi” di bellezza, traendoli l’uno dall’elemento tra i più comuni e più “preziosi” in natura: l’acqua, con la quale gli olandesi da sempre hanno una certa familiarità, mentre l’altra si affida alla nobiltà inattaccabile dei metalli utilizzati, alla caratura delle pietre lavorate, all’eleganza del portamento di chi indossa le creazioni.

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Un antico rituale per cogliere l’essenza dell’impressione e favorire l’intensità della contemplazione. Una liturgia coinvolgente quanto la Storia, che già nell’antico Egitto identifica nell’unione delle corone dell’Alto e del Basso Egitto - segnata dalla potenza del più sacro dei corsi d’acqua -  il connubio metaforico della “chiave della vita”.

Tutti elementi ben presenti nell’iconografica della liturgia cristiana, che vede nell’acqua del Battesimo il passaggio propedeutico a ogni percorso e nelle forme del Triregno o Tiara papale, nonché della Mitria vescovile, la rappresentazione in sintesi di ogni gerarchia ecclesiale.

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Obiettivo costante e comune sempre il medesimo: “Sollevare lo spirito”, per cogliere e favorire il benessere interiore, attraverso la cura della bellezza esteriore. Per cui, l’utilizzo del “prezioso inalterabile”, per essere degno custode del tesoro “ostentato”, per favorirne la contemplazione e predisporre alla devozione.

Nella liturgia laica della Reggia di Caserta, col trionfo trasparente e puro - fino al mito - dell’acqua, così come nei rituali d’ogni epoca, con abbigliamenti, paramenti, suppellettili, gioielli e manufatti preziosi: il trionfo “dell’emozione che suggestiona” è stato sempre un momento-strumento di appagamento spirituale.

Un esercizio che si rinnova nella creatività eclettica di Marina Corazziari, frutto del matrimonio tra forze naturali e culturali, animate ed arricchite da una sorta di linfa mediterranea, che irrora e unisce culture diverse, amalgamando - con conseguente e piacevole armonia - colori, forme, tradizioni, pensieri e saperi.

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In altre parole, il gioco eterno del rincorrersi - sulla linea degli orizzonti - del mare e del sole, esaltato dalle contaminazioni di stili artistici e di estro artigianale. Nella celebrazione quotidiana della luce e dei suoi riflessi. Sciabordii senza fine di ispirazioni trasversali, che continuano a cantare - in forma ripetitiva - la bellezza e l’amore per la bellezza, tra le tessiture ad intreccio della Madre Africa, il simbolismo bizantino tramandato, l’abbraccio sorprendente, discreto e senza tempo degli arabeschi moreschi variamente realizzati, e le linee affascinanti di un futuro senza confini: sempre più legato a radici profondamente meridiane.

Questo è quello che raccontano, nella loro originalità e nella loro portabilità, i “pezzi d’arte” di Marina Corazziari.

(gelormini@gmail.com)

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