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Sergio Marchionne, il ritorno al Padre lungo una vita

L’elemento identificativo era diventato il suo maglioncino di cachemire, percepito come blu scuro, mentre in effetti era nero. Nero come la divisa dell’Arma dei Carabinieri, a cui apparteneva suo padre e che a lungo è stato il suo alveo di formazione non solo adolescenziale.

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Quel maglioncino, per Sergio Marchionne, era la “divisa d’ordinanza”, una sorta di ‘coperta di Linus’ che lo teneva legato alla figura del padre, col quale ha continuato - a suo modo - a dialogare, per tutta la sua vita e non solo nei momenti più significativi.

A certificarlo, se proprio ce ne fosse bisogno, anche quel minuscolo tricolore costantemente cucito sul braccio, ulteriore segno di un legame dalle radici solide, che non gli impedivano “proiezioni lunghe" - come ha efficacemente stigmatizzato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “Era un uomo con lo sguardo sempre oltre l’orizzonte”.

Quell’orizzonte oltre il quale ha costruito tutti i suoi successi e oltre il quale Sergio Marchionne vide il futuro ‘ambizioso’ della Fiat alla guida della sua creatura più piccola, ma più rappresentativa, o meglio, più identitaria: la 500. E sul suo rilancio puntò i suoi sogni!

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L’arrivo della 500 sulle strade di un’Italia che si apprestava a vivere il boom economico dei famosi anni ’60, fu come l’irrompere sul parterre di Sanremo, all’epoca di Nilla Pizzi, Luciano Taioli e Gino Latilla, della carica entusiasta e rivoluzionaria di Domenico Modugno. E Marchionne volle che fosse proprio la voce dell’italiano più cantato nel mondo - e tanto amato da suo padre - a salutare, a Torino, il ritorno atteso della Nuova 500.

Volle che fosse presentata sul Po. Il nome più piccolo per il fiume più grande. La macchina più piccola per i progetti più ambiziosi. La sintesi di un contrasto, che indicava un grande futuro per l’azienda un tempo piccola, nel panorama mondiale dell’auto e che, in quei giorni, valeva già più della somma di General Motors e di Ford.

E il lancio fu accompagnato da un fantastico spot che conquistò il mondo intero. Voluto, suggerito e coordinato dall’uomo simbolo della nuova Fiat, Sergio Marchionne. Il racconto di un orgoglio italiano, lungo 50 anni, attraverso figure esempio come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Gaber e Valentino Rossi.

L’entusiasmo italiano per una vittoria: tutta racchiusa in quel braccio sollevato al cielo dal mito dei ragazzi su due ruote. Perché Marchionne, con incisiva ed efficace sintesi, vedeva la Nuova 500 come “l’iPod” di una Fiat intesa come la Apple dell’auto.

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“Per tante ragioni storiche e culturali noi europei siamo condizionati dal passato - ripeteva nelle sue lectio magistralis - l'idea di chiuderlo per far nascere una cosa nuova ci spaventa”. Nel contempo, invitava con l’esempio a cogliere nei successi lavorativi un insegnamento: non lasciare spazio alla mediocrità, ma puntare sempre al massimo.

Un incitamento a forte impronta paterna e di chiara matrice ‘benemerita’, che venne ripreso in un suo ormai celebre discorso pronunciato a dei neolaureati: "Noi saremo come la musica, improvviseremo, saremo agili, aperti al dibattito, umili, ma impavidi e non ci sarà mai posto per la mediocrità. L'Italia è un Paese con una delle più grandi ma inespresse potenzialità che io conosca, è un Paese che non si vuole bene".

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Anche la sua ultima uscita pubblica, con le immagini che lo ricorderanno per sempre, è stata consapevolmente preparata e realizzata col piglio del grande regista. Sergio Marchionne ha deciso di uscire di scena, ringraziando alla sua maniera - ancora una volta - il padre.

Lo ha fatto affidando quelle ultime immagini all’Arma dei Carabinieri, con una consegna carica di messaggi subliminali. In pratica, con il riconoscimento e la dedica al padre - attraverso l’Arma - del simbolo della sua carriera di successo: la Jeep.

In versione rigorosamente d’ordinanza. Per mostrargli, con orgoglio e riconoscenza, come la/il “topolino” si fossero trasformati in elefante!

(gelormini@gmail.com)

 

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