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Trifone Gargano, Dante e il virus "Inferno" di Dan Brown

Anche Affaritaliani.it - Puglia ha deciso di celebrare i 700anni dalla morte di Dante Alighieri, dedicando ogni week-end questo spazio per la pubblicazione di lavori ad opera di dantisti pugliesi o di autori, i cui articoli sono ispirati all’influenza del Somma Poeta sulla realtà pugliese in particolare o quella italiana in generale.

Gargano Trifone declama

Esordio in accoppiata con Mina, poi riflettori accesi su Netflix con la fiction di successo con Sabrina, e incursioni ne "La casa di Jack" di Lars von Trier; quindi l'incontro con Harry Potter nella saga di Joaanne K. Rowling; l'avventura tra i twitter fulminanti delle terzine di dantesca memoria e l'esplorazione dell'influenza del Sommo Poeta nella prosa contemporanea. E dopo l'incursione dantesca nel mondo del giallo e l'approdo in Sicilia negli intrighi di Nino Motta, il viaggio si è dipanato tra le pagine dei libri di Eraldo Affinati e Giulio Ferroni, con la successiva polemica letteraria accesa da Arno Widmann. Per giungere alla funzione di "Bussola" de La Divina Commedia per un romanzo di Marco Balzano e all'esame su Nick Tosches e "La mano di Dante".

La rassegna di Trifone Gargano (Pugliese, Docente Didattica Lingua Italiane e Informatica per la Letteratura, nonché dantista e divulgatore letterario) continua tra le pagine di "Inferno" il successo editoriale di Dan Brown. (ag)

Inferno cop 01

di Trifone Gargano

Oggi propongo, in questa rubrica settimanale, un romanzo dantesco del 2013, Inferno di Dan Brown, conosciutissimo e di largo successo editoriale (compresa la successiva versione cinematografica, del 2016, anch’essa di grande successo commerciale, con Tom Hanks nei panni del protagonista, e con la regia di Ron Howard.

Letto (o ri-letto) oggi, questo romanzo, in piena pandemia Covid, con tutte le polemiche e i sospetti che circolano, a livello planetario, intorno a un presunto complotto, per la creazione del virus Covid-19, in laboratorio, e per la sua conseguente nefasta diffusione, la lettura del romanzo di Dan Brown assume tinte e coloriture inquietanti. Nel romanzo, infatti, la trama narrativa ruota intorno a un virus preparato in laboratorio, scientemente diffuso, per decimare (e per purificare) l’ignara umanità.

Preceduto da un battage pubblicitario degno di una merce di lusso ("Dan Brown" è, infatti, un brand globale, riconoscibilissimo e seguitissimo), il romanzo Inferno, nella sua duplice versione, cartacea e digitale, edito nel maggio del 2013, apparve immediatamente come libro condannato (si fa per dire...) al successo planetario (in termini di vendite), balzando, come accadde, e per molte settimane, in vetta a tutte le classifiche, suscitando, anche quella volta, una scia di polemiche, accompagnate da una buona dose di recensioni al vetriolo, tanto puntigliose e stroncatorie, quanto concordemente tese, da un lato, a dimostrare l’insulsaggine della storia, la pretestuosità del richiamo dantesco, e la ripetitività dell’intreccio; dall’altro, a determinarne, e a incrementarne il successo commerciale internazionale del libro.

Dan Brown

Per parte mia, devo confessare che, sin dalla prima lettura, che feci già nel 2013 del romanzo di Dan Brown, non mi aspettavo nulla di nuovo, rispetto ai suoi precedenti romanzi di, con protagonista lo studioso di simbologia Robert Langdon. Quindi, non ne restai deluso. Questo genere di romanzi, infatti, vanno letti e ...dimenticati! Ecco, forse, è tutto qui il segreto della disposizione di lettura, che occorre avere nei confronti della letteratura di genere (pregevolissima, per carità, ma che resta di genere): leggere per dimenticare.

La "macchina narrativa" di Inferno di Dan Brown è perfetta. Egli conosce, e utilizza in modo magistrale, tutti gli strumenti della narrazione: il ritmo della storia, che è, ovviamente, incalzante; la scrittura, che è scorrevole; gli occhi e la voce del narratore, che sono capaci di svelare (e/o di velare) dettagli e particolari (anche minimi), con parole e con pause ben scelte, tali cioè da suscitare la curiosità e l’attesa nel lettore. L’intricata trama di Inferno prende il via, sin dalla prima pagina del romanzo (il Prologo), e, di pagina in pagina, si complica, cresce, si ispessisce, torna indietro, spiazza, stupisce, sorprende, per la sola (e unica) ragione che questi effetti altro non sono che l’obiettivo che ciascun narratore deve porsi (e deve saper perseguire), e cioè catturare il lettore! Tenerlo incollato alla pagina. E in questo, Dan Brown è superbo.

Inferno3

Riferimenti e allusioni a luoghi, personaggi e momenti dell’Inferno dantesco fanno capolino già nell’esergo del libro, con l’allusione all’ignavia (colpa dantesca che comparirà più volte nel libro: a metà, e verso la fine del romanzo, quasi a voler suggerire una «chiave» di lettura dell’intera vicenda, da parte dell’autore):

"I luoghi più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali".

Il riferimento topografico infernale (a voler esser pignoli, bisognerebbe scrivere che la sentenza di Brown, in verità, rinvierebbe non a uno, ma a più luoghi dell’Inferno dantesco, e precisamente:

  1. al Vestibolo, o Antinferno, dove, appunto, vengono puniti gli ignavi, che, com’è noto, in vita non seppero mai prendere una decisione, vivendo «sanza ‘nfamia e sanza lodo», If. III, 36;
  2. al IX cerchio dell’Inferno, dove vengono puniti i traditori, rispettivamente, «dei parenti» (nella Caina), «della patria» (Antenora), «degli ospiti» (Tolomea), «dei benefattori» (Giudecca).

    Inferno film locandina

Robert Langdon si sveglia in una stanza d’ospedale, a Firenze, lontano dalla sua università (Harvard), con una ferita alla testa, con gli abiti ancora insanguinati, e privo di memoria (ricorda a stento il proprio nome, e la propria identità). Egli, infatti, non sa dove si trovi, e, soprattutto, non sa, non ricorda, perché si trovi lì. Comincia così il racconto del giorno più lungo (e «infernale») che Robert Langdon sta per vivere, a Firenze, braccato da misteriosi inseguitori, che (forse) vogliono ucciderlo, aiutato da una dottoressa, Sienna Brooks, che nasconde un passato inquieto.

Egli  ossessionato da incubi, e da visioni apocalittiche, che, sia pure in modo convulso e doloroso, però, pian piano, gli restituiscono brandelli di memoria. Langdon si ritrova catturato nel vortice dei torbidi maneggi di un non meglio precisato «Consortium». Si oppone, suo malgrado (o, forse, addirittura, in quanto inconsapevole pedina), di un movimento noto come «Transumanesimo», e del suo ispiratore, il geniale quanto bizzarro (e luciferino) miliardario e scienziato Bertand Zobrist, autore di una aberrante utopia eugenetica, nonché creatore del virus «Inferno».

A lettura completata, appare evidente che l’idea forte intorno alla quale ruota l’intreccio narrativo del romanzo è quella della (sempiterna) riflessione sul complicatissimo rapporto tra il Bene e il Male. La riflessione sul difficile quanto labile, fragile, e delicatissimo confine che, ogni giorno, si pone tra queste due opposte polarità!

Questo è il nocciolo della macchina narrativa di Inferno di Dan Brown, e da esso non si può (e non si deve) prescindere, per un giudizio serenamente fondato su di esso. Il virus «Inferno», con la sua potenza devastatrice, può essere visto, per paradossale che possa sembrare la seguente affermazione, come lo strumento estremo cui ricorrere per salvare l’umanità intera. Il Male, dunque, si chiede Dan Brown in questo romanzo, può portare al Bene? La questione rinvia, immancabilmente, alla (altrettanto delicatissima e sempiterna) discussione sulla libertà, e, di conseguenza, sui limiti della ricerca scientifica e tecnologica, in rapporto alle leggi della morale, e a quelle della religione.

Posto così, comunque, l’interrogativo rischia di apparire banale (se non ridicolo, o del tutto inverosimile). Sarà la dottoressa Sienna, verso la fine del romanzo, a illustrare (e a giustificare) l’azione del virus "Inferno", evocando, per analogia (distruttiva e benefica), la Peste Nera medievale:

"La Peste Nera sfoltì il gregge umano e preparò la strada al Rinascimento e Bertand ha concepito Inferno come un moderno catalizzatore di rinnovamento globale, una Peste Nera transumanista, con la differenza che coloro che manifesteranno la “malattia”, anziché morire, diventeranno semplicemente sterili" (p. 494).

La riflessione, dunque, si sposta sul versante etico della scelta, e del fine ultimo. Non a caso, dunque, il riferimento all’ignavia dantesca, nel romanzo, è ricorrente, e ha un valore non di mera citazione, bensì di ricerca, e di indicazione complessiva di senso, che lo stesso autore (Dan Brown) si permette di suggerire al lettore della sua opera.

Dante

Com’è stato acutamente notato da due studiosi statunitensi, H. Dreyfus e S.D. Kelly, in un saggio intitolato "Ogni cosa risplende", il dramma della società contemporanea è il nichilismo, cioè la (comoda e rinunciataria) tendenza a sottrarsi alla «scelta», a sottrarsi al peso della scelta. Condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo è, infatti, a giudizio di questi due studiosi, la prospettiva nichilista di sottrarsi al peso (e alle responsabilità) della scelta, in un’età (e in un mondo), irrimediabilmente, senza Dio, e senza dèi:

[il] "tormento della scelta […] in realtà è un prodotto della vita contemporanea. Non è solo perché in passato si sapeva bene su quale base compiere le proprie scelte fondamentali, il problema è che le domande esistenziali non avevano alcun senso" (p. 13).

La lettura della Divina Commedia, allora, cosa può ancora trasmettere al lettore (nichilista) di oggi? Di conseguenza, anche la lettura di questo romanzo di Dan Brown cosa riesce a trasmette? In esso, un uomo, lo scienziato Bertrand Zobrist, dice di volersi caricare della responsabilità di effettuare una scelta, per conto dell’intera umanità. Si tratta della scelta di volerla salvare, proprio attraverso la diffusione planetaria del virus «Inferno». Per quanto paradossale possa sembrare, nel giudizio di questo scienziato, l’umanità andrebbe salvata, distruggendola.

Ebbene, aggiungerei questo ulteriore interrogativo: il canto III dell’Inferno di Dante, con la sua forte denuncia della ignavia, cosa avrebbe, dunque, da insegnare all’uomo contemporaneo, che, invece, anziché compiere scelte, appena può, si sottrae di continuo al fardello della scelta?

La Commedia dantesca, infatti, desidero ricordarlo, si poggia su di una concezione tanto semplice, quanto evidentissima (per Dante, e per i suoi lettori contemporanei): Dio ha creato l’universo a lui “simigliante”:

"[…] le cose tutte quante

hanno ordine tra loro, e questo è forma

che l’universo a Dio fa simigliante"

(Pd., I, 103-108)

Dante

Nell’universo dantesco, Dio (creatore) è punto di convergenza di tutte le cose. Gerarchia e ordine caratterizzano l’universo medievale dantesco. Si tratta, dunque, di un mondo lontanissimo da quello contemporaneo! Eppure, è proprio da questa distanza, tra quel mondo e il nostro, tra quelle certezze e le nostre (in)certezze, che ciascuno di noi, oggi, deve trarre una lezione, da tutto ciò, un insegnamento. Sotto questo profilo, allora, l’impresa (folle, geniale e luciferina) di Bertrand Zobrist, e cioè creare e diffondere il virus «Inferno»), di cui si legge nel romanzo di Dan Brown, come va considerata?

Romanzo multilineare, aperto quasi all’infinito, con link, e con rinvii intertestuali tali da moltiplicare il gioco della lettura. Altro pregio (non trascurabile) di questo romanzo di Dan Brown è, indubbiamente, quello di funzionare come potente (e suggestivo) testo di promozione turistica, di Firenze, di Palazzo Vecchio, dei Giardini di Boboli, di via dei Calzaiuoli, e di tanti altri luoghi (letterarii e reali). Ma anche promozione turistica dell’Italia intera. Certo, in alcune pagine, l’Italia che fa capolino è quella delle cartoline. Con tutti gli stereotipi e i cliché del genere. Il lettore di questo romanzo, però, è stato (ed è ancora) un lettore planetario.

Dante 21

Inferno è un romanzo globale, destinato a un lettore globale. Un lettore cioè che non riesce a sottrarsi al fascino (alla suggestione) di voler vedere (o di ri-vedere) per davvero Palazzo Vecchio, o i Giardini di Boboli. Magari mettendo in conto un viaggio in Italia, a Firenze. Sono luoghi letterarii e reali reinventati da Dan Brown, attraverso i suoi occhi, certo, e anche attraverso gli occhi del suo personaggio, di Robert Langdon. Ma sempre luoghi reali restano, con tutto il carico di storia, di bellezza e di fascino che possiedono. Del resto, quante altre descrizioni d’Italia, ovvero, quanti altri  resoconti di viaggio, dei secoli scorsi, che noi, oggi, leggiamo e studiamo come classici, altro non sono che "vedute da cartolina" del nostro (bel) Paese? Che sono stati, tutti, nel corso dei secoli, il vettore di flussi turistico-culturali che durano tuttora? Ben venga, allora, anche sotto questo profilo, di promozione della bellezza italiana, la lettura del romanzo di Dan Brown.

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