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Roma
Aldo Moro, Gbr e la Rai: la vita di Franco Alfano tra i misteri d'Italia

di Patrizio J. Macci


La vita di Franco Alfano, scomparso all’età di 76, anni è stata segnata indissolubilmente da tre parole: Aldo Moro, Gbr, Rai. I gradi di giornalista, infatti, Alfano se li era guadagnati sul campo il 9 maggio del 1978 filmando l’apertura del bagagliaio della Renault 4 con il corpo di Aldo Moro diventando in pochi minuti il Zapruder italiano. L'uomo giusto al posto giusto.

 


Da reporter di un’emittente privata romana (all’epoca venivano chiamate “tele libere”) a giornalista della Rai in un lampo, grazie al fiuto, l’intuito e il tempismo. Nel 1979 per questo scoop mondiale, gli venne assegnato il riconoscimento del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti "Cronista dell'anno".

La carriera di Alfano è stata in seguito una conferma dello spirito d’iniziativa dimostrato in quella circostanza: nella sua lunga esperienza professionale in Rai ha raggiunto la qualifica di direttore del Tg Regionale. E' stato conduttore televisivo e radiofonico, inviato speciale per avvenimenti d'attualità nazionali e internazionali di particolare rilevanza, autore di numerose inchieste e speciali televisivi. E' stato capo della redazione cronaca e poi vicedirettore del Tg2 e della Direzione acquisto diritti sportivi.
In Rai ha ricoperto anche le cariche di direttore generale della Radiotelevisione della Repubblica di San Marino e di direttore e amministratore delegato della Sport Set, società partecipata da Rai e Rcs, per la produzione di programmi televisivi e multimediali.
Nel maggio del 2014 Alfano ha accettato di ripercorrere quella giornata in un’intervista esclusiva per Affaritaliani, divenuta il suo sigillo definitivo su quell’esperienza. Fra due anni saranno quarant’anni dall’omicidio dello Statista democristiano, e l’ennesima Commissione Moro in questi giorni sta interrogando proprio alcuni dei personaggi nominati da Alfano nelle sue risposte. Dopo la sua morte riproponiamo le sue parole su quella vicenda,

IL RITROVAMENTO DEL CORPO DI ALDO MORO. Alfano il 9 maggio del 1978 lei è un cronista di 38 anni che lavora per una piccola emittente romana, GBR. Insieme a Valerio Leccese filma l'apertura del bagagliaio della Renault 4 dove, secondo le ricostruzioni, Aldo Moro è stato assassinato dalle Brigate Rosse. L'anno scorso alcune rivelazioni hanno messo seriamente in discussione questa versione dei fatti. In sintesi sostengono che l'automobile sia stata aperta in precedenza, bonificata e poi richiusa. Chi doveva sapere già sapeva. A questo punto avreste assistito a una messinscena. Che ne pensa?

“Che è una balla colossale basata sul nulla. Ci sono testimonianze molto precise in proposito, sostenute e convalidate dalle riprese della nostra telecamera. Il primo in assoluto ad arrivare in via Caetani fu l’allora colonnello Antonio Cornacchia, comandante del Nucleo Investigativo dei Carabinieri: “All’una e un quarto del nove maggio io mi trovavo esattamente nella zona di piazza Ippolito Nievo, a Trastevere, quando mi arrivò una comunicazione via radio del colonnello Di Donno, l’ufficiale di turno alla sala operativa della Legione Roma… “Airone uno, airone uno, portarsi immediatamente in via Caetani”. E poi: “C’è una macchina, sospetta, con qualcosa a bordo di grosso, insomma, un po’ pesante”. Ero distante solo alcune centinaia di metri, per cui arrivai in via Caetani in pochi secondi, e vidi questa macchina parcheggiata. L’auto era chiusa e, per prudenza, furono chiamati gli artificieri. Subito dopo arriva il Questore di Roma Emanuele Di Francesco che testimonierà: “Lo sportello posteriore fu aperto con grossa difficoltà perchè nemmeno il tecnico della direzione di artiglieria ne fu capace. Successivamente dovetti far intervenire il comandante dei vigili del fuoco che vi riuscì abilmente. Ma prima ancora di portare a termine questa operazione, facendo sollevare la coperta attraverso lo sportello anteriore, io personalmente mi accertai che la salma era quella deIl'onorevole Moro. Da quel momento ovviamente diedi tutti gli allarmi. Così avvisai subito il Capo della Polizia ed il Ministro dell'Interno".

LA TELEFONATA. Nel suo libro uscito per il trentennale del sequestro Moro, lei dice che era accorso in Via Caetani imbeccato da un suo collega del quotidiano "Il Tempo" e che un lancio dell'agenzia Ansa riportava la notizia di un corpo all'interno del bagagliaio di un'automobile. Può raccontare esattamente come andarono i fatti da quando ha ricevuto la notizia fino all'arrivo in Via Caetani?

“Sto per mettermi a tavola per il pranzo quando squilla il mio telefono di casa. E’ Giorgio Laskaraky, un cronista del Tempo, che ci “copre” gli avvenimenti dalla Questura “Guarda – mi dice – che è stata segnalata una macchina minata in via Caetani”. In questi giorni sono decine le segnalazioni anonime che arrivano ai centralini di polizia e Carabinieri e quasi tutte si rivelano poi fasulle. Per questo all’inizio non dò eccessivo peso alla notizia. Poi chiedo quasi soprappensiero “E dov’è via Caetani?” “E’ una traversa di via delle Botteghe Oscure – mi risponde Laskaraky - proprio dietro piazza del Gesù”. Il nome dei luoghi dove hanno sede la Dc ed il Pci, mi fa saltare sulla sedia. Urlo a Laskaraky di avvertire Berti in redazione – ma mi risponde di averlo già fatto - e mi butto a precipizio per le scale. Salgo in macchina e parto sgommando, i fari abbaglianti accesi ed il clacson spinto. L’antenna del radiotelefono montata sull’Alfa mi aiuta a far credere che si tratti una macchina della polizia in emergenza. Mentre percorro via Nomentana contro mano, tutto il traffico accostato sulla destra per darmi strada, chiamo al telefono Marco Berti. “Mandami una troupe” gli chiedo. E lui “Già fatto. E’ partito Valerio Leccese con un assistente.” Valerio Leccese è un giovane e bravissimo tecnico che fa parte di un gruppetto che lavora alla Gbr proveniente da un’ottima scuola, l’istituto per la cinematografia e la televisione di via della vasca navale. Berti mi aggiorna “Ha richiamato Laskaraky e poi è arrivata anche un’Ansa. Dicono che nel bagagliaio della macchina c’è un cadavere”. “Apri subito una diretta, così potremo dare le notizie in tempo reale mano a mano che arrivano”. In una manciata di minuti sono in largo Argentina. Blocco la macchina praticamente in mezzo alla strada proprio all’imbocco di via delle Botteghe Oscure, che due vigili proprio in quel momento stanno chiudendo al traffico, deviando le auto verso corso Vittorio. Centinaia di persone si stanno accalcando verso via Caetani. Tra le teste, ad un certo punto, intravedo quella dell’operatore Valerio Leccese accompagnato dall’assistente Domenico De Carolis. Loro provengono da piazza Venezia, dove sono arrivati a tempo di record da via Trionfale. Tento di chiamarli, di farmi vedere ma il caos è tanto. Intravedo anche Paolo Frajese con una troupe del TG1 che tenta di farsi largo. Non c’è da perdere tempo. Mi rendo conto che tra pochi secondi sarà impossibile passare. Faticosamente sono riuscito ad arrivare all’incrocio con via Caetani. Davanti a me un camion della Guardia di Finanza da cui stanno saltando giù in gran fretta diversi militari armati di fucili mitragliatori. Provo a forzare il cordone che si sta formando, fortunatamente proprio nel momento in cui i militari stanno organizzandosi. Mi butto a corpo morto, resisto agli spintoni, mi prendo un paio di colpi dei calci di fucile sulla nuca e su una spalla, ma riesco a superare il blocco. Nessuno mi insegue: i militari devono essersi resi conto che se rompono il cordone per venire a prendere me, rischiano di lasciare campo libero alla folla che preme. Così mi lasciano andare. Mi avvio a passo svelto verso la Renault 4 rossa, che è parcheggiata contromano, sulla sinistra, un centinaio di metri più avanti rispetto all’incrocio con via delle Botteghe Oscure, sotto ad una impalcatura metallica innalzata per eseguire alcuni lavori di restauro della chiesa di Santa Caterina. E’ targata Roma N56786. La polizia ha già accertato che è una targa falsa appartenuta ad una Alfetta demolita. Si guardano intorno alla ricerca di una soluzione. Decidono di entrare nel portone del palazzo che fa angolo con via Caetani, il numero 31 di via Funari. Lì si accorgono che lo stabile è servito da un doppio ingresso: uno è quello appunto da dove sono entrati, in via Funari e l’altro è invece proprio il numero 32 di via Caetani, davanti al quale è parcheggiata la Renault. Salgono di corsa le scale e giungono su una terrazza. Da lì cominciano a fare le prime riprese ed a scattare le prime foto. Ma si accorgono presto che il posto non è ideale. E’ molto in alto, le riprese sono difficoltose a causa di un largo cornicione, ma soprattutto è pressoché perpendicolare all’auto, con la conseguenza che le immagini risultano molto modeste e poco chiare, con difficoltà anche a riconoscere le persone. Il terzetto decide allora di trovare un altro posto. Scende le scale, arriva nel grande cortile, ma questa volta incontra il custode dello stabile che, nel frattempo, ha chiuso i due portoni. “Dove andate? Chi siete? Uscite subito, qui non potete stare!” “Siamo della Gbr – gli rispondono – ci faccia rimanere. Oramai stiamo qui, cosa le costa…” Il custode cede e li accompagna su per le scale, fino al primo piano. Dietro una porta, alcune stanze. Entrano in una. E’ illuminata da una finestra stretta e bassa…Si affacciano…a pochi metri la Renaul 4 rossa con a bordo il corpo di Aldo Moro”.

MORO SI POTEVA SALVARE? In quelle ore la discussione partito della fermezza oppure della trattativa aveva spaccato il paese in due. Bettino Craxi anni dopo disse che era una situazione di conflitto civile, e in guerra si è soliti trattare. Si poteva fare qualcos'altro secondo lei?

"Non si poteva fare assolutamente nulla perché la sorte di Moro era segnata fin dall’inizio. La testimonianza dei dissociati Morucci e Faranda che si sono battuti fino all’ultimo per evitare una conclusione cruenta della vicenda, ce lo confermano. Appena Moretti capì che nella Dc si stavano aprendo spiragli per un dialogo con l’intervento di Fanfani, accelerò i tempi e arrivò all’assassinio. Una conclusione che – ricordo – era  condivisa da tutte le Brigate Rosse, compresi i componenti della vecchia guardia che erano in carcere, come Curcio e Franceschini".

Cossiga la riconobbe mentre era affacciato. È vero che voleva arrestarla?

“E’ una battuta che mi faceva sempre quando ci vedevamo e mi fece anche un giorno
nel corso di una udienza ufficiale al Quirinale del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti di cui facevo parte. Dopo il saluto del Presidente dell’Ordine, al momento di prendere la parola, Cossiga, rompendo il Cerimoniale ed avviandosi verso di me che mi trovavo in prima fila tra i consiglieri neo eletti, disse con tono scherzoso, pressappoco: “Prima di rispondere, fatemi salutare e stringere la mano ad un amico che io avrei dovuto far arrestare – e ripetè marcando la voce – avrei dovuto far arrestare, ma che ho avuto modo invece di apprezzare per il contributo che ha saputo dare all’informazione in un momento particolarmente drammatico del Paese”. Ne ho ricordo in una foto con dedica affettuosa che Cossiga mi volle regalare e che conservo gelosamente in cornice appesa sulla scrivania del mio studio”.

TOGLIERE IL SEGRETO. Pensa che dall'operazione di trasparenza innescata da Renzi, la desecretazione di alcuni documenti possano emergere verità ancora nascoste?

"La desecretazione autorizzata da Renzi, a mio avviso, non porterà ad alcuna, importante nuova rivelazione su alcuno dei tanti misteri italiani. Tantomeno sulla vicenda Moro che di misteri veri e propri non ne ha nessuno".

Lei bruciò sull'attimo Paolo Frajese, all'epoca un cavallo di razza del giornalismo. Come si sentì nelle ore successive?

"Posso assicurare che nelle ore successive non ho avuto tempo di pensare a quanto era accaduto, tanti erano gli avvenimenti che si stavano susseguendo in tutto il Paese e di cui dovevamo rendere conto nei servizi e nei notiziari di GBR. Certo, la Rai la prese proprio male, come ammette Bruno Vespa in uno dei suoi libri, commentando quel 9 maggio: “Arrivano le prime immagini. Per noi è uno schiaffo professionale forte perché non sono della Rai. Un operatore della televisione privata GBR, guidato da un bravissimo cronista, Franco Alfano, è riuscito a riprendere dall’alto il corpo di Moro. In questa inquadratura c’è tutta l’infamia e l’assurdità dell’esecuzione”. La sera mi telefona Paolo Frajese “Bel colpo avete fatto, congratulazioni. Ma, Franco, dimmi la verità, quanto avete dato al portiere per farvi entrare a fare le riprese?”. “Quanto abbiamo dato a chi?...”. “Al portiere”. “Paolo, ti sbagli, noi non abbiamo dato proprio niente a nessuno”. Frajese non sembra convinto e si congeda con un nuovo “Complimenti”. Lo capisco, non è facile per un grande professionista, ammettere questa volta di essere stato superato. Anche lui era lì, e ne sono testimone, ma non è riuscito a passare, per una questione di secondi; per una questione di essersi trovato in quel momento un metro più indietro invece che un metro più avanti. E’ un episodio questo che conferma come nel nostro mestiere, come nella vita, oltre alle capacità, alla passione, al coraggio, spesso risulta decisivo un pizzico di fortuna".

SOLDI IN CAMBIO DI IMMAGINI. È stato pagato per il filmato che ha fatto il giro del mondo?

"No, non è stato pagato. Lo dissi subito a Nuccio Fava che era in piazza del Gesù per il TG1. Quel che è accaduto è troppo grave, troppo importante, troppo sconvolgente, per pensare di tenere le immagini solo per la Gbr da diffondere in ambito regionale. Per questo dico a Fava “Le immagini sono a vostra disposizione”. Nuccio prende il telefono e chiama il direttore Emilio Rossi, che porta ancora i segni di un agguato subito proprio da parte delle Br meno di un anno prima, il 3 giugno del 1977, quando fu gambizzato in via Teulada. Gli spiega in due parole cosa è accaduto e me lo passa. “Quanto chiedete per quelle immagini?” mi chiede con il consueto tono basso e pacato della voce. Questa domanda non me l’aspettavo, ma non ho dubbi a rispondere subito “Assolutamente nulla, direttore. Solo l’impegno di citare gli autori”. Quale somma può compensare l’enorme pubblicità che deriverà alla Gbr dall’essere citata dal TG1, seguito in questo periodo da decine di milioni di spettatori al giorno, quale autrice di immagini in esclusiva mondiale? E’ anche implicitamente una ammissione ed una presa d’atto autorevole di una realtà, quella dell’emittenza privata, con la quale l’ex servizio pubblico radiotelevisivo monopolista deve ormai fare i conti. Pochi giorni dopo l’uscita del mio libro sulla vicenda Moro, a marzo del 2008, Emilio Rossi mi telefonò, ringraziandomi per la citazione e ricordando insieme a me quei momenti drammatici. Morirà qualche mese dopo".

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