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Roma
Aldo Moro: l’ultima verità è in Nicaragua: la custodisce Casimirri

di Patrizio J. Macci

Caso Aldo Moro, l'ultima verità sulla strage di via Mario Fani è in Nicaragua. Quarant'anni dopo è ancora caccia ad Alessio Casimirri, Primula Rossa del terrorismo italiano dalle infinite identità e dalle mille protezioni.

 

Aldo Moro, c’è una nuova verità custodita dal latitante più braccato d’Italia ma di lui si conosce nome e cognome, il volto e addirittura l’indirizzo: Carretera Sur Km 13, Managua – Nicaragua. All’anagrafe è Alessio Casimirri. Nessuna intelligence ha mai dovuto faticare per ricostruire il suo identikit. Matteo Messina Denaro in confronto è un dilettante, il Conte di Cagliostro e Casanova in fuga dai Piombi si piazzano a notevole distanza per tenacia e inventiva criminale.
È la Primula Rossa del terrorismo italiano con una caratura internazionale, ha schivato arresti, assunto un’identità fittizia pur di sfuggire alla giustizia.

La storia
Il 16 marzo 1978 alle 9,02 guidava la Fiat 128 bianca che tamponò l’auto della scorta del Presidente della Dc durante l’operazione dei terroristi delle Brigate Rosse che ha portato al sequestro di Aldo Moro e alla strage degli uomini posti a sua difesa. Valerio Morucci precisò che era entrato nell'Organizzazione poco tempo dopo il suo ingresso e quello di Adriana Faranda, tra la metà del 1976 e l’inizio del 1977. Più Precisamente era insieme a Alvaro Lojacono, a bordo dell’automobile «che aveva sbarrato via Fani dietro l'Alfetta della scorta» e che poi si accodò alla Fiat 132 su cui era stato caricato a forza l’onorevole Moro. Il mezzo fu poi abbandonato a via Licinio Calvo e lui ebbe l’incarico di occultare le armi.
Il suo nome è Alessio Casimirri nome di battaglia “Camillo”. È nato nel 1951, è stato condannato a sei ergastoli in via definitiva ma i suoi polsi non hanno mai conosciuto le manette e non ha mai trascorso una notte nelle carceri italiane. I magistrati italiani tentano da quarant’anni di interrogarlo ma lui con un triplo salto carpiato e avvitato nel 1980 si è dissociato dalle Br è fuggito prima in Francia, poi a Cuba, Panama e infine è atterrato sano e salvo in Nicaragua terra di rivoluzionari, narcotrafficanti, laghi e vulcani dove ha collaborato per qualche anno con il Fronte Sandinista di liberazione. Ufficialmente il suo status è: NON ESTRADABILE.

Il mistero in un ristorante
Queste sono le tappe della sua fuga dalla giustizia secondo fonti bene informate. Si può vedere seduto al tavolo del suo ristorante che ha una pagina su facebook dove illustra i piatti nei minimi dettagli: la “Cueva del buzo” (La grotta del sub) specialità pesce è il nome del locale.
Se telefonate per prenotare e vi risponde una voce maschile molto probabilmente è lui all'apparecchio. Preferisce tenere una porta che dà sul retro sempre aperta quando è presente nel locale. Ha dichiarato di sé a un giornalista di un quotidiano nicaraguense: “alcuni nascono per avere una sola vita e morire, io ne ho avute parecchie. In una precedente esistenza sono stato italiano”. È un provetto pescatore subacqueo e caccia con le proprie mani parecchi dei pesci che vengono serviti a tavola. Alcuni sostengono di averlo visto ai fornelli in serate speciali (si è tagliato i baffi che lo facevano apparire troppo “rivoluzionario”) ma sempre con l’occhio guardingo agli stranieri che entrano. Altri dicono di averlo riconosciuto in un documentario trasmesso da un’emittente in lingua spagnola dove discettava in mezzo a una miriade di colori. Un’esplosione cromatica simile ai fiori che sua moglie Rita Algranati agitò per segnalare l’avvio del sequestro e a quelli dell'ambulante Spiriticchio al quale i suoi compagni avevano squarciato le ruote del furgone per impedirgli di intralciare il rapimento la sera prima del 16 marzo.

Tradito dalla moglie
La scoperta della localizzazione di Casimirri in Nicaragua avvenne a seguito di un evento del tutto casuale. Aveva contratto matrimonio a Managua il 17 dicembre 1983 sotto il falso nome di Guido Di Giambattista, con la cittadina nicaraguense Mayra De Los Angeles Vallecillo Herrera. Come precisato dalla nota inviata dall’Ambasciata italiana a Managua, il 29 aprile 1986, la moglie si presentò presso l’Ambasciata italiana per denunciare il comportamento violento e minaccioso di suo marito, che, «secondo il certificato di matrimonio esibito» era il cittadino italiano Guido Di Giambattista. Fu lei ingenuamente a dichiarare che si trattava di un nome falso e che suo marito doveva identificarsi con il latitante italiano Alessio Casimirri. La relazione della Commissione Moro presediuta da Giuseppe Fioroni nel 2017, ricostruendo la sua fuga, ha fatto saltare fuori un cartellino fotosegnaletico del 1982 che farebbe ipotizzare un fermo di polizia a su carico. Forse qualcuno pasticciò e dopo la schedatura (Motivo della segnalazione: ARRESTO) non seguì nulla, oppure il cartellino è un fake artefatto. La matassa è ancora imbrogliata e non si è riusciti a capire se il documento sia apocrifo. Mancano le sue impronte digitali per un riscontro.
“A caratterizzare il profilo di Casimirri rispetto ad altri militanti è la sua estrazione sociale più elevata. È infatti noto che il padre, Luciano era capo ufficio stampa dell'«Osservatore Romano» e responsabile della sala stampa vaticana, e uomo di un certo peso e vaste relazioni” così recita la Relazione. E a chiudere: “Più volte segnalato e denunciato, sottoposto a perquisizione insieme a altri membri del disciolto Potere operaio, Casimirri, ancora nel 1980, si reca a riconsegnare armi (di tipo sportivo) in una stazione dei Carabinieri con tranquilla fiducia. Dopo le confessioni dei pentiti dell’inizio del 1982, che lo chiamavano in correità, fa ancora a tempo a ritirare le sue spettanze presso il datore di lavoro due giorni dopo che erano stati spiccati i mandati di cattura. Espatria, verosimilmente, con un passaporto grossolanamente contraffatto con il quale, secondo la sua ricostruzione, non solo entra in Francia, ma riesce a raggiungere il Nicaragua facendo scalo a Mosca (…)”. Nel 1993 fallisce il tentativo di due agenti segreti del Sisde di catturarlo e portarlo in Italia, lui comincia a sbottonarsi un po’ sui fatti di Via Fani ma le sue protezioni si rivelano inscalfibili. Niente da fare: rimane a spadellare specialità ittiche in Nicaragua ben protetto.

La rete delle protezioni
“Si evidenzia la costante e ripetuta protezione nel nostro Paese, di cui Casimirri poté godere in molte fasi della sua vita, con modalità e intensità diverse ed in molteplici ambiti. Protezioni che possono essere fondate su ovvi elementi familistici, ma senza escludere anche, alla luce di comportamenti di soggetti diversi, ma con analoghi percorsi, elementi di collaborazione, più o meno ufficiale, con strutture dello Stato”. Questo recitano perentoriamente le carte, ma il suo volto tra quello dei latitanti italiani ufficialmente ricercati non c’è più. Un fatto dal forte valore simbolico (dal punto di vista strettamente criminale non è “pericoloso” così come le altre decine di latitanti italiani per reati di terrorismo costantemente monitorati dai servizi segreti in mezzo mondo). Il suo volto non fa più paura a nessuno, è "solo" scappato senza pagare il conto proprio come si fa in un ristorante. Quello che potrebbe dire invece fa ancora paura a molti.

 

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