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Roma
Altaroma 19, la sfilata delle modelle senz'anima: tristi e un po' bruttine

di Tiziana Galli

Lacrime e stridore di denti sulle passerelle romane di Altaroma 19, dove la tristezza è l’imperativo categorico. È notorio che le modelle abbiano sempre avuto l’obbligo di non sorridere per rimanere idealmente distanti rispetto alla platea.

La loro presunta divinità veniva sottolineata dallo sguardo algido e dall’alone di mistero che le avvolgeva sotto i riflettori della passerella: salite sulle pedane le indossatrici non dovevano più essere semplici ragazze, ma dee chiamate ad interpretare un abito, perché questo potesse essere venduto. Su un piano rialzato rispetto al resto del mondo si creava una dimensione parallela che dettava legge e ispirava tendenze.

All’epoca c’erano delle vere scuole per modelle che insegnavano loro portamento e comportamento e la capacità di ammaliare gli osservatori era implicita nel ruolo. Questa era la legge di quel mondo e la legge non cambiava né per l’alta moda tantomeno per il prêt à porter. La legge era la legge e valeva per le top quanto per le modelle meno blasonate, a Milano come a Roma. Non è passato un secolo da questi tempi, sono passati solo pochi anni, ma minimalismo e tristezza hanno invaso il territorio. Povertà, mestizia e contrizione sono le sensazioni che maggiormente emergono dai mood delle catwalk romane. E l’ordinario fa tendenza. Sono state abolite le modelle affamate per disincentivare il rischio di anoressia ma, di fatto, il mostro dell’autodistruzione ha preso solo un altro volto, quello dell’inespressività.

Niente più magia, niente più mistero sulle passerelle romane, dove la fame non disegna più la massa dei corpi ma tradisce il silenzio dell’anima di una città che ha smesso di splendere e di far sognare.

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