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Roma
Altaroma: il segreto di lunga vita è nell'insuccesso. Buyer come a una fiera

di Tiziana Galli

Altaroma: qualcosa deve cambiare. A due settimane dalla fine, si tirano le somme dell’unica manifestazione romana dedicata alla moda: “Si poteva fare meglio” dicono i partecipanti. “L’istituzione serve se funziona, ma per favore non toglietecela”.

Il calendario di Altaroma quest’anno è stato piuttosto asciutto, nutrito per lo più da un progetto di tre giorni, alla sua seconda edizione: “Showcase”. L’aspettativa era alta e solo in parte soddisfatta. L’iniziativa vantava la presenza di sessanta giovani designer che a rotazione esponevano la loro collezione 2018/19 di fattura esclusivamente Made in Italy. La percezione della manifestazione da parte degli aderenti è stata, nella maggior parte dei casi, positiva “considerando che a Roma non c’è altro e che la partecipazione è stata gratuita” specifica qualcuno. “Showcase”, però, pur mantenendo un altissimo livello qualitativo nella selezione dei marchi, manca di quella seduzione che ci si aspetterebbe da Altaroma, rasentando di striscio le statiche caratteristiche di una fiera.

“Showcase” è stato realizzato, come ormai di consueto, in collaborazione con Ice, l’Agenzia per la promozione e l’internazionalizzazione delle imprese italiane all’estero, ed ha alzato il livello d’impegno rispetto all’esperimento della stagione precedente. Stando a quanto risulta sono stati selezionati dieci buyer italiani e numerosi buyer esteri, ventisette secondo quanto attesta Ice, e 30 secondo quanto dichiara Altaroma, provenienti da: Azerbaijan, Belgio, Cina, Corea, Francia, Libano, Emirati Arabi Uniti, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Ucraina e Russia. La differenza tra il numero dei compratori italiani e quello degli acquirenti stranieri la dice lunga sulle difficoltà che incontrano i brand nostrani nel piazzare i prodotti Made in Italy all’interno del Bel Paese, ma vendere fuori oltre ad essere più facile presenta anche il grande vantaggio di vedere con certezza l’immediato pagamento della merce ordinata.

In Italia i pezzi venduti vengono pagati a 30 -60 -90 giorni, mentre oltre confine il cliente paga il 30% all’ordine ed il restante 70% prima dell’invio della merce. Ma il discorso non è questo: il fulcro della questione rimane la reale capacità di “acchiappo” dell’iniziativa. Nessuno ci vuol rinunciare, ma la ruota organizzativa deve prevedere fuochi d’artificio che non si sono visti, per consentire ai partecipanti un reale riscontro commerciale e alla città di Roma un concreto punto a favore. Il potenziale è ottimo ma così com’è rischia, nel giro di poco, di migrare in città più funzionali, privando Roma di quest’ unica possibilità di apertura.

“Io ho fatto anche la mostra internazionale “Arezzo Oro”, racconta Gaia Caramazza, titolare dell’omonimo marchio di gioielli, “ma lì avevo l’opportunità di intrattenere i buyer facendoli accomodare nel mio spazio, in “Showcase” non è stato possibile mettere neanche una sedia; tantomeno vestire una modella”.

Poi continua: ”Ho avuto un buon riscontro di pubblico sollecitando molta curiosità: sono stati in molti a chiedere informazioni sui miei gioielli, ma le vendite che ho fatto sono state esclusivamente a privati, non ai buyer”.

Va detto che, per creare un terreno d’incontro tra marchi partecipanti, stampa e buyer l’organizzazione di Altaroma, dieci giorni prima dell’inizio della manifestazione capitolina, ha indetto una conferenza stampa. Peccato che fosse a Milano e molti dei brand invitati, presi dai preparativi per la manifestazione non si sono potuti recare sul posto. “Mordende”, ecco cosa viene richiesto: una strategia di relazione e comunicazione “tra i mondi” maggiormente funzionale e opportunità commerciali reali e non di facciata”.

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