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Roma
Ammettiamo che l’albero parli: la follia di uno scrittore che uccide la madre

di Patrizio J. Macci

 

Claudio Marrucci è uno scrittore romano cresciuto a Pomezia, a un tiro di schioppo dalla Capitale. Nella periferia dell’Impero se si vuole inquadrare il suo humus culturale. Ha pubblicato il suo primo libro a sedici anni per sfuggire alla noia e alla desolazione di un territorio che gli andava troppo stretto. Poi è scappato a studiare in Spagna all’Università Complutense. Ora è tornato in Italia e si presenta in libreria con un romanzo strutturato in un patchwork di stili, dove fonde la poesia con il racconto e l’aforisma fulminante. “Ammettiamo che l’albero parli” (Fahrenheit 451 Edizioni) è la storia di una follia (reale?), un giallo metafisico mozzafiato. Una discesa all’inferno di Enea e di Dante, dove il protagonista si batte contro i propri demoni rivivendoli nella memoria del mondo. Un corpo a corpo con la parola da gustare riga per riga. Giosuè è uno scrittore psicolabile che uccide la madre in un momento di follia e si rifugia, in preda al dolore, in un mondo parallelo. La razionalità architettonica della cittadina dove l'autore è vissuto per lungo tempo, è oggetto di una sottile opera di negazione e distruzione nelle parole del protagonista. Come se la realtà venisse riflessa da uno specchio deformante.
“Sono un traditore. Avevo giurato che qualunque cosa fosse accaduta non avrei parlato”, scrive Marrucci nel libro. In questo mondo, del tutto autentico, Giosuè incontra Myriam, una ragazza che amerà fino a perdere il senno ma che, nonostante tutto, lo lascerà senza appello. Elaborando il dolore per questa perdita il protagonista farà i conti con se stesso, fino ad ammettere finalmente il suo delitto.“Ammettiamo che l’albero parli” è una continua investigazione della perfezione, una perenne ricerca d’identità e libertà, una favola crudele come lo è spesso la vita, dove l’autore si schiera contro la violenza in maniera netta e definitiva. “La violenza, soprattutto – afferma l’autore –  è da aborrire in quanto tale. Se noi viviamo in un mondo violento dove il piccolo è sempre sopraffatto dal più forte, probabilmente i valori che hanno tenuto assieme la società sino ad ora, hanno esaurito la loro funzione. L’arte e la letteratura – conclude Marrucci – sembrano essere l’unica nostra salvezza”.

 

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