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Roma
Casamonica, l'impero del male ha il suo libro. Una banca a 100 mln di euro

di Patrizio J. Macci

Il clan dei Casamonica entra ufficialmente nella letteratura criminale. Come la Banda della Magliana. Vita, morte e miracoli finanziari riassunti in un libro e forse presto anche in un film o una serie televisiva.

I Casamonica hanno un patrimonio stimato in 100 milioni di Euro e più di 1000 affiliati tra soldati semplici e capi dei singoli nuclei familiari, i caminetti per bruciare la droga nel caso di controlli delle forze dell’ordine sono sempre accesi nelle loro ville hollywooddiane disseminate nel quadrante sud est della Capitale; l’architettura e l’arredamento interno scimmiottano la reggia del film Scarface.

In garage hanno Ferrari, Lamborghini, Porsche accessoriate in esclusiva. Al polso sfoggiano orologi da centinaia di migliaia di euro. Servizi igienici in oro, scintillanti marmi preziosi, tigri e felini di ogni razza come soprammobili arredano le stanze delle loro ville. Confinati ai margini della città socialmente e geograficamente ne sono divenuti i padroni. I soldi in contanti durante le perquisizioni sono stati trovati ovunque: nel forno, murati dietro l’intonaco. Sono una banca sempre aperta alla quale si rivolgono tutti: liberi professionisti in difficoltà, commercianti strozzati dalla crisi, personaggi del mondo dello spettacolo scivolati nel dimenticatoio, calciatori in disarmo. Il cash non lascia tracce e risolve parecchi problemi. E’ il Clan Casamonica raccontato da Floriana Bulfon nel volume “Casamonica La storia segreta” (Rizzoli Editore).Sostengono di mantenersi con il commercio di automobili ma la maggior parte di loro dichiara redditi del tutto incongrui rispetto al tenore di vita. Le sentenze invece parlano di usura, traffico di sostanze stupefacenti, tentati omicidi e reati contro il patrimonio.

Roma si è accorta della loro esistenza in occasione dei sontuosi funerali con cavalli e carrozza dell’agosto 2015 (sei cavalli neri che trainavano una carrozza antica, una folla di gente che accompagnava la bara e la banda musicale che intonava il celebre motivo di Nino Rota, indimenticabile colonna sonora del Padrino di Francis Ford Coppola) ma il loro insediamento nella Capitale comincia addirittura negli anni Sessanta.

Arrivano dall’Abruzzo nei quartieri dove c’è solo polvere e le ultime propaggini dei terreni coltivati a vigneti dei Castelli Romani. Lo sviluppo urbanistico della città e l’inaugurazione della linea A della metropolitana con l’apertura delle fermate successive a Cinecittà segna la loro marcia trionfale, inizia l’edificazione di quelle che un magistrato ha definito “enclavi fortificate”. All’inizio sono costruzioni abusive per la maggior parte e poi condonate, strade dove dettano legge e transita solo chi ha il loro permesso. L’autrice che ha visitato i territori dove spadroneggiano ed è stata loro “ospite” sfata alcuni luoghi comuni, il primo tra tutti che esista un “capo degli zingari”, una sorta di re che governi i diversi clan. Ciò è impossibile perché il loro orgoglio non concede a nessuno il potere assoluto. L’organizzazione del Clan è quanto di più vicino a quello della ‘ndrangheta, nuclei familiari con un capo che regola i conti e tira le fila dell’organizzazione che procede nell’escussione dei crediti come uno schiacciasassi con un marketing fondato sull'uso della violenza che vale come avviso per chi avesse la tentazione di allontanarsi senza aver pagato.

Non si sono rassegnati neanche davanti alla contestazione di mafia, il carcere non li turba più di tanto. Se qualcuno di loro cade c’è sempre un membro della famiglia destinato a occuparsene, il Clan non ammette tradimenti o pentimenti anche se la diga dell’omertà si è incrinata per la prima volta per opera di una donna. Analizzato il folclore visto e stravisto e letto fino alla nausea, la Bulfon va oltre le carte delle procure e il sentito dire sbozzando un libro che è un gioiello di antropologia urbana arricchito nelle ultime pagine da una preziosa mappa per orizzontarsi nell’albero genealogico della famiglia.

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