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Roma
Caso Cucchi, frase choc di un carabiniere intercettato: “Magari morisse”

"Questa storia è costellata di falsi subito dopo il pestaggio ed è proseguita in maniera ossessiva subito dopo la morte di Stefano Cucchi". Lo ha detto il pm Giovanni Musarò in apertura di processo in corte d'assise contro 5 militari dell'Arma annunciando il deposito di nuovi verbali integrativi di indagine nel procedimento per falso.

C'e' stata una attività di inquinamento probatorio indirizzando in modo scientifico prove verso persone che non avevano alcuna responsabilità e che sono state sottoposte a giudizio fino in Cassazione e ora sono parte civile perché vittime di calunnie".

"Quello che ha detto il carabiniere Francesco Di Sano nell'udienza del 17 aprile scorso è vero, la modifica dell'annotazione di servizio sullo stato di salute di Cucchi, quando venne portato alla caserma di Tor Sapienza dopo il pestaggio, non fu frutto di una decisione estemporanea ed autonoma di un limite ma fu l'esecuzione di un ordine veicolato dal suo comandante di stazione, che a sua volta aveva ricevuto un ordine dal comandante di compagnia che a sua volta lo aveva ricevuto dal Gruppo".

"Solo cosi' - ha proseguito il pm - si può capire il clima che si respirava in quei giorni e perché quella annotazione del 22 ottobre 2009 su Cucchi sia stata fatta sparire senza che nessuno ne parlasse per nove anni".

E tra gli atti del pm Musarò depositati in udienza, spunta pure la conversazione, intercettata, di un carabiniere. Il militare all'alba del 16 ottobre del 2009, poche ore dopo l'arresto, parla così riferendosi a Stefano Cucchi: "Magari morisse, li mortacci sua". In particolare il militare, poi imputato per calunnia, fa riferimento alle condizioni di salute del 31enne geometra, che si trovava in quel momento nella stazione di Tor Sapienza dopo essere stato pestato alla caserma Casilina. "Mi ha chiamato Tor Sapienza - dice il capoturno della centrale operativa - Li' c'e' un detenuto dell'Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. È detenuto in cella e all'ospedale non può andare per fatti suoi". E l'altro: "È da oggi pomeriggio che noi stiamo sbattendo con questo qua".

"Magari morisse, li mortacci sua". Cosi', all'alba del 16 ottobre del 2009, poche ore dopo l'arresto di Stefano Cucchi, parlava al telefono un carabiniere (poi imputato per calunnia nel processo davanti alla prima corte d'assise) con il capoturno della centrale operativa del comando provinciale. La conversazione, intercettata, e' tra gli atti che il pm Giovanni Musaro' ha depositato oggi in udienza. In particolare il militare, poi imputato per calunnia, fa riferimento alle condizioni di salute del 31enne geometra, che si trovava in quel momento nella stazione di Tor Sapienza dopo essere stato pestato alla caserma Casilina. "Mi ha chiamato Tor Sapienza - dice il capoturno della centrale operativa - Li' c'e' un detenuto dell'Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. E' detenuto in cella e all'ospedale non puo' andare per fatti suoi". E l'altro: "È da oggi pomeriggio che noi stiamo sbattendo con questo qua".
 

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