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Roma
Caso Moro, Cutolo voleva liberare lo statista. Le ultime rivelazioni

di Patrizio J. Macci

 

Caso Moro, le ultime rivelazioni sui 55 giorni di prigionia e sul ruolo della criminalità.

Raffaele Cutolo boss mafioso fondatore e capo indiscusso della Nuova Camorra Organizzata, attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara, nel 1978 aveva predisposto un blitz armato per liberare Moro dalla “prigione del popolo” dove era stato rinchiuso dalle Brigate Rosse su richiesta di alcuni uomini degli apparati dello Stato. Un manipolo di uomini “a contratto” ingaggiati dalla malavita.

Gangli delle istituzioni, quindi, agivano al di fuori di ogni regola per tentare di salvare il presidente della Democrazia Cristiana interfacciandosi con la camorra. Lo ha raccontato in esclusiva con dovizia di particolari Antonio Mancini, soprannominato “Accattone”, ex pezzo da novanta della banda della Magliana, a Simona Zecchi che ha dedicato un libro al ruolo fondamentale e fino ad oggi inesplorato della criminalità nei 55 giorni del sequestro: “La criminalità servente nel Caso Moro” (La nave di Teseo), un volume zeppo di documenti dell’epoca (fonti giornalistiche) e alcuni scatti catturati dall’Ottico Gualerzi di Via Stresa nell’immediatezza della strage di Via Fani preziosissime perché inedite.

“In uno degli incontri che ci sono stati fra Cutolo e gli uomini di servizi e istituzioni che l’andavano a trovare ci fu una disponibilità (non so se glie l’hanno chiesto loro o fu una sua proposta) di impaurire i brigatisti per la liberazione degli ostaggi (...) non solo Moro. Io mi ricordo da quello che venne a me all’orecchio che la minaccia fu “se voi non liberate tizio vi faccio ammazzare a voi in carcere e i familiari quando vengono al colloquio”. E siccome in quel periodo succedevano cose assurde, molte erano le morti, ad esempio in carcere o per le strade non c’era ritegno da parte dei cutoliani, c’era molta paura. In cambio Cutolo voleva uscire, comandare in carcere e fare come voleva (...)”.

A conferma di quanto poi non è accaduto Mancini cita un “positivo”, il caso dell’assessore Ciro Cirillo sequestrato il 27 aprile 1981 dalle Brigate Rosse per il quale ci fu una trattativa e la liberazione. Evento nel quale la “criminalità servente” ebbe un ruolo di primo piano: “Su Cirillo il patto è avvenuto e hanno preso un sacco di soldi, i soldi non li ha presi soltanto Senzani e il suo gruppo, prese qualcosa anche Cutolo: lui ha imposto con le minacce. Le BR se ne potevano fregà ma avevano paura di ciò che poteva succedere ai familiari e c’era gente disposta a farlo”.
Cutolo si rivolse a Pasquale D’Amico (suo luogotenente e consigliori), il primo a riferire di trattative sotterranee con ambienti spiccatamente criminali e in particolare dei contatti per organizzare l’irruzione nel covo dove Moro era rinchiuso. Cutolo gli chiese di trovare dei tiratori scelti ed eventualmente di affrontare i brigatisti in un conflitto a fuoco. L’avvocato di Cutolo sostenne che i servizi segreti intervennero con carattere di imposizione, minacce e promesse di favore.

Ma non è l’unico e neanche il più clamoroso elemento di novità presente nel volume. Una lunga disamina è dedicata all’operato del deputato democristiano Benito Cazora e dei suoi tentativi di stabilire una connessione con elementi di spicco della malavita calabrese. Cazora contattò ripetutamente Sereno Freato, capo della segreteria di Aldo Moro, con il quale discusse di un medico prestato alla malavita. Freato parlerà anche con la signora Eleonora Moro di questo “dottore dei sequestri”. Riscontri che cuciono una tela mai affrontata fino ad oggi in maniera analitica unendo i punti neri inesplorati della vicenda Moro, vedasi uno dei probabili altri covi in cui è stato detenuto il Presidente in località Vescovio nell’area del viterbese.
Anche quando affronta temi rivelati da altri (la fotografia del 16 marzo in via Fani che avrebbe catturato il volto di Giustino De Vuono il “legionario”) e quella di Antonio Nirta detto “due nasi”, la Zecchi contestualizza e offre al lettore documenti inediti che permettono di leggere i 55 giorni del Caso Moro e il suo tragico epilogo con un’angolazione differente. Nessuno potrà più negare il ruolo da protagonista della criminalità organizzata (in particolare di quella calabrese) nel sequestro Moro. La sua lettura degli eventi fa emergere come questo rapporto di “do ut des” attravero i fatti più violenti della prima e seconda Repubblica arrivando fino alla trattativa stato mafia in anni più recenti, rapporti la cui costante è rappresentata dalla ndrangheta che più di cosa nostra intesse il patto con alcuni apparati sin dal 1970. Sempre al servizio dello Stato.

La prima presentazione del volume è a Roma giovedì 22 marzo alle ore 17,30 all’Archivio di Stato Complesso di Sant’Ivo alla Sapienza a Corso del Rinascimento 40.

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