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Roma
Castel Romano, campo nomadi dimenticato. Il Governo bacchetta Roma

di Massimiliano Martinelli


Il campo rom di Castel Romano è una bomba ad orologeria, innescata e pronta ad esplodere, sommersa da rifiuti, guerre etniche e malattie come scabbia e leptospirosi. Un campo nomadi dimenticato, abbandonato a se stesso e spesso e volentieri vessato dal Comune.

 

Il duro verdetto sull'operato del Comune di Roma arriva niente di meno che dal Ministero della Salute, in risposta all'interrogazione parlamentare presentata dall'onorevole Stefano Fassina. Attraverso un rapporto di sei pagine il Governo conferma lo stato di degrado e difficoltà del tristemente celebre campo, che ospita circa 1062 persone, quotidianamente intrappolate in una “situazione socio ambientale grave”.

Nel dossier si ammette l'enorme divario, in termini sanitari, tra rom e il resto della popolazione, che si concretizza in un limitato accesso alle cure e a rischi maggiori per la salute. Il Campo rom della Pontina “vanta” difatti impianti fognari chiusi e sotto sequestro dal febbraio 2017, nonché acqua ed elettricità a singhiozzo da mesi.

Una miscela esplosiva di criticità, denunciate dalla stessa Asl Roma 2, da ben due anni, ma rimaste completamente inascoltate dall’Amministrazione. Criticità che si aggiungono ad una “forte conflittualità tra comunità serba e quella bosniaca”, si legge nel rapporto, e ad atti vandalici nell'area dell'insediamento. In breve: guerre etniche, segregazione, fognature a cielo aperto e malattie. Un mix letale che cuoce a fuoco lento tra la rabbia e il malcontento degli ospiti, troppo spesso ignorato o caduto nel dimenticatoio.

Alla drastica condizione del campo nomadi, il Ministero della Salute risponde ricordando l'istituzione di un grande Tavolo tematico, dedicato proprio al tema della salute, nonché all'accesso ad un'assistenza sanitaria di qualità: il Tavolo Salute. Il quale ha a sua volta definito un Piano d'Azione Salute per e con le comunità Rom, Sinti e Caminanti, presentato ed inviato agli Assessorati alla Salute a fine dicembre 2015.

Un Piano di cui il Governo si prende il merito, scansando però le proprie responsabilità e ricordando, neanche troppo sottilmente, che: “Il successo del Piano è affidato alla disponibilità delle Amministrazioni Locali”. In breve, una sonora bacchettata sulle dita del Comune di Roma, indicato come unico ed eventuale colpevole della situazione: “Le Amministrazioni locali sono divenute nel tempo le reali protagoniste delle politiche sociali e sanitarie per i Rom, nell'implementarle e renderle operative: ebbene, in questo ambito si deve evidenziare, con rammarico, una discontinuità e difformità applicativa”. Ricordando così, carte e dati alla mano, che le leggi e le iniziative ci sono e sono state fatte, ma poi spetta al Comune di Roma renderle effettive.

E se dal canto suo il Comune di Roma ha assicurato la bonifica dell'intera area, una costante presenza di forze dell'ordine ed il nuovo collegamento della rete fognaria, dall'altro lato ha gradualmente iniziato la chiusura dei campi La Barbuta, La Monachina e Camping River.

Una maxi operazione che prevede l'utilizzo dei fondi del Programma Operativo Nazionale Metro 2014-2020. Fondi che saranno usati in toto, quindi non impiegabili per gli interventi annunciati. Un campo divenuto una prigione, un luogo malsano e pericoloso, che mette a rischio i suoi stessi residenti, diventa così l'ennesima emergenza destinata ad attendere, l'ennesima falla da tappare mentre la barca di Roma affonda.

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