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Roma
“Chi mangia carne d'agnello salva un pastore”. Coldiretti, effetto crisi

Saranno quasi quattro su dieci pari al 39%, gli italiani che a Pasqua porteranno a tavola la carne di agnello. Una tradizione che si rinnova ogni anno, ma che rappresenta anche un aiuto concreto per la sopravvivenza di 60 mila pastori colpiti dai rincari dei costi di produzione legati alla guerra in Ucraina.

E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ in occasione dell’avvicinarsi della ricorrenza, durante la quale si acquista gran parte dei circa 1,5 chili di carne di agnello consumati a testa dagli italiani durante tutto l’anno. Tra coloro che non rinunciano all’agnello, il 24% acquisterà quello Made in Italy e un altro 9% lo andrà addirittura a comperare direttamente dal produttore, per avere la garanzia dell’origine, mentre solo un 7% non si curerà della provenienza di quel che metterà nel piatto, secondo Coldiretti/Ixe’.

"Preferite carne da allevamenti territoriali"

L’appello di Coldiretti Lazio è quello di preferire carne di agnello a denominazione di origine garantita da marchi di provenienza territoriale come l’Igp. Una scelta che aiuta i pastori e salva le tradizioni millenarie come la transumanza, proclamata patrimonio culturale immateriale dell’umanità l’11 dicembre 2019 e allo stesso è più salutare.

“Una tradizione che aiuta anche a contrastare lo spopolamen​to delle aree interne - spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri -. Le ripercussioni del conflitto in Ucraina pesano enormemente su questo settore e fanno registrare un calo di fatturato preoccupante. Serve l’impegno dell’intera filiera agroalimentare per sostenere la pastorizia italiana. A Pasqua scegliamo prodotti genuini e certificati, come l'abbacchio romano Igp, che rappresenta una vera eccellenza del nostro territorio e scoraggia l’importazione di prodotti provenienti dall’estero, dannosi per la salute e per l’economia del nostro Paese”.

Un agnello su 2 è di origine straniera

Un agnello su due (55%) presente nei banchi frigo per Pasqua è di origine straniera il pericolo è, infatti, di mettere nel piatto carne spacciata per italiana, che non rispetta gli stessi standard qualitativi di quella nazionale, secondo un’indagine dei Consorzi di Tutela delle tre Igp Agnello di Sardegna, Abbacchio Romano e Agnello del Centro Italia e di Coldiretti Sardegna.

“I prodotti con certificazione comunitaria Igp garantiscono maggiori garanzie e sicurezze ai consumatori -prosegue Granieri - sia in termini di qualità, che di tracciabilità. Questi prodotti vengono costantemente sottoposti a rigorosi controlli. Questo offre la garanzia che sia stato adottato un metodo di allevamento sottoposto agli standard qualitativi della carne. Diffidate quindi dei prodotti importati di scasa qualità”.

Nel Lazio il 5% degli allevamenti, superiori a 500 capi, detiene il 52% della produzione totale contro un 3% di allevamenti superiori ai 500 capi, a livello nazionale, che si ferma a coprire il 29% del patrimonio ovino nazionale. Il territorio maggiormente vocato all'allevamento ovino è il Viterbese, dove si registrano oltre 250 mila capi identificati, più della metà della produzione regionale, seguito da quello romano.

La crisi della pastorizia

Per la pastorizia di stima, inoltre, un calo dei redditi di oltre il 50%, secondo l’analisi Coldiretti su dati Crea, che segue la crisi causata dalla pandemia, mettendo a rischio un mestiere ricco di tradizione molto duro, che garantisce la salvaguardia di ben 38 razze a vantaggio della biodiversità e che si prende cura di circa 6 milioni di pecore da nord a sud della Penisola. Solo nel Lazio sono oltre tremila allevamenti ovini che contano più di 800 mila capi, pari all’11% del totale nazionale. Dati che portano la nostra regione al secondo posto in Italia, dopo la Sardegna, per la produzione di latte di pecora che raggiunge circa 270 mila quintali all’anno e quella di capra circa 5.700.

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