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Roma
Ciarrapico: funerale andreottiano, pochi intimi ma fedeli. In 200 per l'addio

di Patrizio J. Macci

Per Giuseppe Ciarrapico un funerale in stile andreottiano a partire del libro delle firme che reca solo il nome e cognome, sobrio e quasi privo delle immancabili coreografie fasciste d'occasione con il feretro poggiato in terra (more nobilium) all’interno della Basilica di Santa Teresa d’Avila, che se non ci fossero state sarebbe stata una notizia di per sé.

 

Giuseppe Ciarrapico ha raccolto per l’ultimo saluto oltre ai familiari presenti al completo, Maurizio Gasparri, Domenico Gramazio, Donna Assunta Almirante vedova del fondatore del fondatore dell’Msi con i figli, lo storico ed ex consigliere comunale Adalberto Baldoni e un Adriano Tilgher pensieroso insieme a Giuseppe Valentino presidente della Fondazione An. Quelli che gli sono stati vicini anche durante tutte le sue vicende giudiziarie. E poi un manipolo di tipografi, giornalisti e maestranze del Secolo d’Italia quelli della stampa quasi clandestina, cominciata con il ciclostile che hanno avuto porte aperte per l’ultimo saluto insieme agli operatori di ciò che rimane del suo impero della sanità. Perché era quello l’unico spazio concesso alla sua corrente di pensiero in un mondo nel quale l’egemonia culturale stava tutta a sinistra: il "revisionismo" e l'innovazione dei giornali locali che aveva mutuato da un viaggio negli Stati Uniti. Se le copie di giornale andavano pesate e non contate come tentava di insegnare ai suoi amministratori, c’è stata una corrispondenza tra il numero di presenti al suo funerale e la rappresentazione della sua esistenza, pochi i politici soprattutto gli appartenenti storici alla Destra, perché anche gli uomini non si contano ma si pesano per la loro fedeltà.

E a loro aveva dato parecchio (racconta un vecchio giornalista): “Come la volta che si presentò in tribunale e sollevò da ogni responsabilità tutta la catena di comando del suo giornale, dal direttore all'ultimo degli amministrativi: 'Signor giudice, sono stato io in qualità di editore ad imporre che venisse fatta quella cosa. E l’ho imposta contro la volontà delle persone che avete chiamato a giudizio in quest’aula, che hanno dovuto eseguire in quanto miei dipendenti. Sono io e solo io il responsabile"'" Pagò per tutti in tribunale ed economicamente. Duecento persone del suo popolo, dove si è notato più di un vecchio telefono Nokia 3310 e qualche cappotto rivoltato che abiti di gran sartoria. L’A. S. Roma Calcio della quale si occupò evitandone il fallimento su richiesta di Giulio Andreotti ha inviato un cuscino di rose giallorosso.

Il gran cerimoniere nero (onnipresente a ogni commemorazione della Destra romana) Bruno di Luia, un "fascista" sulla settantina, prestante e di un certo piglio, naso da pugile, di professione attore e cadutista come riportano le cronache, ha mantenuto l’ordine in una strada caotica all’inverosimile mentre la bara sfilava via avvolta nel tricolore. I vecchi “camerati” lo ricorderanno a modo loro a un mese dalla morte a piazza Tuscolo, i manifesti sono già pronti: sono quelli che recano la fotografia divenuta iconica del Senatore mentre fa il saluto romano.

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