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Roma
Cucina, chef non si nasce. “Il modello dei divi televisivi è sbagliato”

“Corsi di cucina professionale”, l'offerta supera quasi la domanda in un paese che ha scoperto il piacere della buona tavola e le occasioni di occupazione che il settore offre.
Ma come scegliere quello giusto? Affaritaliani.it ha chiesto a Loretta Cavallaro, direttore della scuola Mind/Cibo per la mente e iscritta all'Associazione Insegnanti Cucina Italiana (AIC) una guida per la scelta del corso giusto.

Gli chef ormai sono diventati divi. Riempiono non solo le cucine, ma anche il web e gli schermi televisivi. Cosa consiglierebbe ad un ragazzo che vuole intraprendere la professione?

“Innanzitutto di verificare bene la propria passione. E’ un lavoro che richiede tanto sacrificio, tanta fatica fisica e mentale, lascia poco tempo libero. Poi vorrei fare una distinzione. Molti ragazzi si avvicinano al mondo della cucina seguendo modelli di chef arrivati alla fama e al prestigio. Ma di chef in cucina c’è ne è uno. Gli altri sono cuochi. Per diventare bravi chef, ci vogliono molti anni di lavoro come cuoco. Semplicemente cuoco. Se cercate un buon corso di avviamento alla professione, diffidate del titolone “vuoi diventare un grande chef?”. Guardate bene il programma, come e dove si svolgerà il corso, che ci sia una consistente parte pratica e che la scuola sia dotata di una ampia cucina in cui lavorare”.

Quanto è importante la formazione?

“Molto, moltissimo. Non basta il “mestiere”. Per approcciare una ristorazione di qualità, bisogna studiare molto. In cucina c’è scienza, sperimentazione, innovazione, grande conoscenza degli ingredienti. In un paese come l’Italia, poi, in cui la varietà e vastità di materie prime è enorme, l’approfondimento sugli ingredienti diventa fonte di grande ispirazione in cucina. I cuochi italiani sono fortunati.

Alla conclusione di un percorso formativo, è poi così facile trovare un lavoro?

“E’ un settore dove c’è molto movimento. Solo a Roma ci sono oltre settemila ristoranti. Se si è bravi e si ha voglia di lavorare, qualcosa si trova. Però insisto sulla formazione. La ristorazione sta cambiando e la differenza si fa sulla qualità. Inoltre bisogna considerare una grande espansione del settore catering, dei cuochi a domicilio, del delivery. Tutti ambiti in cui le proposte di menu e la qualità delle materie prime sono fondamentali”.

Ma basta un corso di cucina per diventare cuochi?

“Basta una laurea in filosofia per diventare filosofi? Un corso di cucina professionale di primo livello è un avviamento alla professione. E’ un modo per entrare nel mondo del cibo e della cucina professionale, ma in questo lavoro, le capacità e la volontà personali sono molto importanti. E di strada bisogna farne tanta”.

Così però lei rischia di scoraggiare i giovani....

“E’ scoraggiante illuderli, promettendo mari e monti, e poi offrire una realtà molto diversa. Questo fa male. I ragazzi vanno messi di fronte alla verità e non sono stupidi. Il lavoro in cucina è faticoso, richiede un grande impegno, ma è bellissimo. E’ una professione creativa, che da grandi soddisfazioni. Un ragazzo con un po’ di capacità, può anche aprire una piccola attività, senza troppi investimenti ed essere padrone di se stesso e del proprio lavoro”.

C’è anche gente che vuole cambiare vita, fra gli iscritti ad un corso di cucina?

“Sì, sempre di più. Persone non giovanissime, con una grande passione, che per ragione o per forza si devono reinventare nel mondo del lavoro. Sono motivate, sanno già cosa significa “lavorare”, inseguono il sogno di una vita. Mi piacciono molto. Mi piacciono molto anche i ragazzi, mi piace vedere lo stupore nei loro occhi, mi piace quando se ne vanno, tutti contenti, con i loro elaborati da far assaggiare a casa. Mi piace veder crescere la passione e la competenza, vederli ogni giorno più bravi e più sicuri”.

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