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Roma
Da Berlusconi a Mara Venier: nostalgia anni '80. L'amore pop diventa arte

di Maddalena Scarabottolo

Politica e spettacolo uniti in matrimonio da “Party Politics. L'intrattenimento della politica, la politica dell'intrattenimento”. Foto extra-large, nei locali della Fondazione Giuliani a Roma, immortalano vari volti protagonisti degli anni Ottanta: da Silvio Berlusconi a Sandra Milo, da Sophia Loren a Sandro Pertini, da Enzo Biagi a Beppe Grillo, da Vittorio Gassmann a Mara Venier.

 

Divertente, conturbante, irritante, distante, pungente, tenera, nostalgica, affettuosa, feroce. Queste sono le prime descrizioni che il pubblico ha espresso guardando l'ultima impresa di Francesco Vezzoli: “Party Politics”. La mostra, che durerà fino al 19 luglio, esplora il potere della cultura popolare contemporanea.

Una galleria di ritratti, che ricorda molto quelle che si possono ammirare nei grandi musei del mondo. I noti personaggi politici e dello spettacolo degli anni Settanta e Ottanta sono presentati alla maniera di Hans Holbein il Giovane e di William Hogarth. Le opere, che invadono lo spazio per le loro notevoli dimensioni, sono in realtà fotografie d'archivio, realizzate dai fotografi ufficiali e dai paparazzi dell'epoca. Vezzoli le ha cercate, selezionate, analizzate e ingrandite.

L'ingrandimento fuori proporzione è il medium utilizzato dall'artista per immettere lo spettatore direttamente all'interno della festa, della cena e tra i giochi di sguardi. Filippo Ceccarelli, scrittore e giornalista, aiuta invece lo spettatore a leggere le immagini attraverso i titoli, che in realtà sono racconti o ancor meglio, come dice l'artista: “epigrammi”.Grazie a questa installazione, Vezzoli trasforma le fotografie d'archivio in simboli di edonismo e mondanità, così eloquenti, da divenire dei veri e propri baccanali pop.Affaritaliani.it ha intervistato l'artista per comprendere come un progetto d'arte contemporanea possa svelare anche un significato educativo.

Francesco Vezzoli, può spiegare al pubblico romano come nasce il progetto per questa mostra?

“Come dice Dago: Guardare un libro e leggere una fotografia. Le immagini parlano e raccontano un'epoca in maniera spettacolare. Basta uno scatto e in quello scatto ci sono dinamiche e sguardi che rivelano tutto: i meccanismi dei poteri e degli interessi. Quindi avevo voglia di ripercorrere la storia del mio paese e soprattutto avevo voglia di capire il rapporto tra politica e intrattenimento. Nel nostro momento storico, questo rapporto, è diventato un'ibridazione che ormai è oltre l'incesto. Mi piaceva l'idea di andare a trovare queste foto, che adesso ci risultano un po' innocenti, dove avvenivano i primi contatti tra l'edonismo e il calvinismo”.

Che funzione dovrebbe avere questa mostra per Roma?

“Una funzione di depolarizzazione, non solo su Roma ma anche sull'Italia e sui nostri stati d'animo. Le ideologie sono più che morte, sono incenerite e le loro ceneri sono state buttate nel Volga o nel lago Michigan. Dobbiamo guardare a queste immagini, che non sono tenere, con una certa leggerezza e senza nostalgia. Dobbiamo guardare al nostro passato imparandone gli errori e anche le ambizioni. L'ambiguità è il luogo dove esce la verità”.

Cos'è che si può definire opera d'arte in questa installazione?

“Le immagini sono prese da archivi che hanno una loro identità autonoma. Io ho selezionato da questi archivi altre narrative parallele e ho unito poi questi pezzettini. Il risultato è la  mia narrativa, il mio pensiero e il mio contributo. Quello che è veramente personale è l'accostamento.  I singoli possessori di questi archivi non l'avrebbero mai immaginato.Con questa azione si nobilita uno scatto che non era minimamente pensato per essere esposto in una galleria d'arte”.

Lavora quindi con una sorta di ready-made fotografico?

“Assolutamente si. Un ready-made fotografico che diventa affresco, affresco storico”.

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