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Roma
Desario, mezzo secolo a Bankitalia: da Sindona all'Italacasse sino a Calvi

di Patrizio J. Macci

Parlare di Vincenzo Desario significa raccontare un viaggio sul veliero di Palazzo Koch, sede centrale della Banca d’Italia, durato mezzo secolo. Una navigazione affrontata da Desario, classe 1933, sempre tra gli ufficiali al comando sin dal suo arruolamento (per concorso) avvenuto nel 1959, quando al Governo dell’Istituto sedeva quel Donato Menichella che aveva vergato di proprio pugno un manualetto ad uso dei funzionari dell'Istituto.

I telefoni negli uffici erano un miraggio, i funzionari comunicavano tra di loro attraverso biglietti scritti rigorosamente a mano consegnati da silenziosi commessi e poi distrutti. In questa atmosfera è cominciata la sua avventura di economista, dopo la laurea in giurisprudenza proveniente dalla Puglia felix di Aldo Moro e di tanti altri studiosi affermatisi in economia.

La sua attività di ispettore lo ha condotto nei mari perigliosi di alcuni dei più gravi scandali bancari e finanziari del dopoguerra, eventi  destinati a passare dalla cronaca alla storia. Nel 1974, durante una ispezione alla Banca Privata di Michele Sindona, scoprì con il suo intuito il complesso reticolo della struttura dei depositi fiduciari e la contabilità occulta del banchiere siciliano. Senza il suo intervento Sindona avrebbe continuato ad alimentare la sua folle creatura finanziaria continuando a bruciare i risparmi di migliaia di ignari risparmiatori.

Sempre Desario pochi anni dopo sottopose a una analisi minuziosa, su incarico della dalla Banca d'Italia, i conti della Italcasse di Giuseppe Arcaini: nell’estate infuocata del 1977 stilò un rapporto minuzioso e scrupoloso al Governatore dove si evidenziava un’amministrazione agitata da metodi che sfioravano il banditesco. L'ultimo appuntamento con la storia è nel 1982, quando Desario è incaricato di rimettere ordine nelle stanze del Banco Ambrosiano squassato da una crisi di liquidità senza precedenti, operazione che comincia pochi giorni prima della tragica morte del banchiere Roberto Calvi che lo dirigeva.

Dopo dodici mesi riconsegnò la banca, nel frattempo rifondata come Nuovo Banco Ambrosiano, con i conti e i libri in ordine. Poi il ritorno a Via Nazionale fino al 2006 anno in cui la sua “missione” è terminata, sempre all'ombra di un rigore etico esemplare.

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