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Roma
Dolce sì, ma anche triste: “Vertigini”, il settimo racconto di Adriana Soares

“Vertigini” è il settimo racconto tratto da “La piega del tempo” di Adriana Soares, artista eclettica che si esprime nelle diverse arti della fotografia, della pittura, della poesia e della scrittura.

È stato pubblicato l’ennesima fatica letteraria dell’autrice, giunta alla sua nona pubblicazione, con il suo primo romanzo intitolato: ”Presenze invisibili a Quixada”. Lo scritto è un thriller psicologico, un po’ psicotico laddove il crimine e la sua espiazione possono rappresentare un nuovo inizio.

"La piega del tempo" è invece una raccolta di dieci racconti intervallati da alcune delle sue poesie in cui si specchiano le nostre miserie, costituendo per questo un chiaro monito a tutti noi.

Quello di oggi è un racconto tenero ma allo stesso tempo lascerà, forse, un amaro in bocca.

Vertigini

Aveva ottantotto anni.

Era una signora elegante, gentile e profumava di viole. Si chiamava Liliana e aveva il vizio della nostalgia.

Ebbe un’infanzia normale, di normale infelicità, un po’ aggravata da complessi ingarbugliati, ma non così gravi da lasciare ferite che non potessero rimarginarsi col tempo. Come, ad esempio, all’occasione della prima comunione, quando doveva confessarsi. Liliana si trovava lì, in preda all’agitazione, davanti ad una tenda nera che la separava dal sacerdote. La povera bambina, cercava di passare in rassegna la lista dei peccati più comuni da svelare, ma la sua voce non contribuiva a farli venire alla luce, e così il prete, dopo un momento e con voce lenta, noiosa e fastidiosamente indagatrice prese l’iniziativa.

Così, in mezzo all’oscurità e all’odore di incenso e di candele accese, ecco che le domandò:

“Hai toccato il tuo corpo con le tue mani?” Chiese il prete con aria apparentemente serafica.

“Si padre.” Balbettò la bambina innocente.

“Spesso figlia mia?” Con un tono inquisitorio.

“Tutti i giorni.” Rispose la bimba con un tono colpevole.

“Tutti i giorni? Lo sai che questo è un peccato grave? Non sei una bambina virtuosa e pura. Mi dovrai promettere che non lo farai più.” Criticò la bambina.

Promise, anche se non si capacitava come si sarebbe potuta lavare, pettinare, lavarsi i denti o vestirsi da lì in avanti. Quest’evento traumatico l’accompagnerà fino ai suoi ottantotto anni. È sempre stata una ragazza vivace e sentiva di avere il sex appeal di un pollo spennacchiato. Ed ora, nonostante l’età, provava quel senso di vertigine, un certo desiderio di vita. Questa vertigine aumentava quando si trasferiva nella sua casa al mare, un vecchio faro rosso e bianco, corroso dal tempo e dell’intensa salsedine e dai venti marini.

Si ergeva solitario, abbracciando ogni dove in quello sterminato mare voluttuoso, sanguigno e indomito.

Il suo blu, a volte violento, la brezza marina, la salsedine, la pioggia, lo iodio, il vento che faceva tremare i vetri delle finestre, quel silenzio attonito, tutto questo non aiutava la signora a diminuire quel senso di tremore e di vertigine.

Quando ascoltava Brahms, provava i brividi e avvertiva migliaia di farfalle dentro lo stomaco e i peli delle braccia si alzavano.

Quando era ragazza, le bastava davvero poco per essere pervasa da quel senso di vertigine.

Questa, col passare degli anni, non dava tuttavia segno di diminuire. E questo le pesava moltissimo.

Così, trovò il coraggio di andare dalla sua ginecologa. E le domandò con grande imbarazzo e con lo sguardo basso:

“Quando passerà?”

“Cosa signora?”

“Quella cosa.”

“Cosa?”

“Il desiderio.” In un fil di voce.

“Cara signora, non passerà mai.”

La signora sussultò con un certo spavento e delusione.

“Ma io ho ottantotto anni!”

“Cara signora è una cosa naturale che la accompagnerà fino la morte.”

“Ma è terribile!”

“Signora, questa è la vita!”

“Cosa posso fare? Vivo in un inferno. Nessuno mi vuole più!”

La ginecologa la guardava con tenerezza e pietà.

“Non c’è soluzione, cara signora.

“Non ci sono medicine?”

“No signora.”

“Mi devo arrangiare da sola, in solitudine?” In quel momento si ricordò dell’episodio vissuto da piccola, davanti ad una tenda nera col prete bacato.

“Potrebbe essere una soluzione.”

Così, la signora lasciò lo studio medico, mentre l’amica l’aspettava al bar. Si vergognava tanto, per questo non si era fatta accompagnare dalla figlia, troppo rude e poco empatica. Alla morte del marito, anni prima, la signora Liliana era rimasta sola, emotivamente sola.

Giusto un’amica, troppo impegnata con le proprie faccende e raramente disponibile, se non per essere invitata a cena o a pranzo.

Quella stessa notte, sulle note di Brahms, trovò momentaneamente un po’ di pace.

Le stelle brillarono un po’ di più sotto lo sguardo attento di una magnifica luna piena.

Pianse. Provò vergogna e un senso di malessere intenso e di solitudine.

Da quel giorno, sarebbe stato sempre così.

Sempre triste. Sempre sola.

È la vita, questa è la vita, fino la morte.

La morte.

La signora morte.

Nella notte, le era parso di scorgere un volto e un sussurro familiare ormai quasi dimenticato.

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