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Roma
Editoria, anche Roma ha la sua Adelphi. Il sogno di Gaffi diventa realtà

di Patrizio J. Macci


Un editore romano decide che anche la Capitale deve avere la sua "Adelphi", sinonimo di casa editrice attenta alla qualità dei libri pubblicati e alla fattura dei volumi pubblicati, fa shopping di libri a Trieste e apre le porte agli scrittori che abbiano un manoscritto insolito e desueto da pubblicare.

 


Al centro di questa storia fatta di disattenzioni editoriali, o meglio ambientata in un periodo nel quale per stringere un contratto il più delle volte bastava una stretta di mano, e che porta alla nascita di quella che alcuni hanno già chiamato “l’Adelphi romana”, c’è una casa editrice che aveva il nome di uno dei più importanti scrittori italiani vissuti a inizio Novecento: Italo Svevo. La casa editrice era nata a Trieste mezzo secolo fa, nel 1967 per mano di una famiglia di librai i fratelli Zorzon che contattarono gli eredi dell’autore de “La coscienza di Zeno” e gli proposero di lanciarsi in un’avventura editoriale che avrebbe portato il nome del loro parente: l'idea è quella di stampare e vendere libri con il nome di Italo Svevo.

Nel 2013 la libreria “La Fenice” dei Zorzon fallisce, trascinando nel suo naufragio il marchio editoriale e l’intero magazzino dei libri. Alberto Gaffi, editore romano con il fiuto per le imprese al limite dell’impossibile e frequentazioni mitteleuropee, si precipita a Trieste dove in una concitata asta riesce ad aggiudicarsi il fallimento.

Grande è lo stupore quando si scopre che il marchio editoriale non è stato mai registrato, così come la maggior parte degli oltre seicento titoli presenti nel catalogo sono stati stampati senza che venisse mai stipulato un contratto con gli autori. Il catalogo di libri che era stato costruito in quei cinquant’anni precedenti di storia abbracciava non solo la realtà triestina, ma giuliana e istriano-dalmata: esperienze che arrivano fino a Zara, Pola o Fiume, cioè a territori che appartenevano all’Italia e sono state consegnate alla ex-Jugoslavia come bottino di guerra, ma nelle quali continua a battere un cuore italiano. Nasce l’idea di una casa editrice con il cuore a Trieste e la mente a Roma, il cui modello di riferimento sono volumi curatissimi dal punto di vista editoriale, libri da creare con le proprie mani perché da consegnare nelle mani del lettore con i fogli ancora da tagliare su carta pregiata.

La vecchia “Italosvevo” era molto forte da Trieste verso Est (Dalmazia, Istria, Slovenia). Oggi il suo rilanciato da Gaffi si rivolge a un pubblico più ampio, pur senza tralasciare le origini: ha una redazione a Trieste e porta i suoi volumi nei vari Festival letterari in Croazia e a Lubiana. I primi pamphlet pubblicati sono quelli de “La Piccola Biblioteca di Letteratura inutile”, una collana assolutamente originale sia per contenuti, sia per veste grafica, quest’ultima semplice ma originale per l’essenzialità. La parola magica -evocata da Gaffi stesso, per connotare la sua creatura, è quello della “fanìcola”.
“La fanìcola” in dialetto triestino indica la spazzatura, ovvero tutto quello che si butta. L’ironia triestina rende bene il concetto: quando la spazzatura viene selezionata con attenzione, il riciclo porta a qualcosa di nuovo. Raccogliere spazzatura non equivale a raccogliere il peggio: significa prendere gli scarti, gli avanzi; quando i biscotti sono finiti, anche se è stata buttata la scatola che li conteneva può essere usata per conservare le fotografie di famiglia e quindi diventare preziosa custode di un passato che non c’è più. Essa stessa diventa un medium che ha una storia da raccontare perché rievoca dei gesti della quotidianità.
La raccolta, però, deve essere fatta con l’occhio scaltro del buon gusto, perché nella spazzatura bisogna trovare gli elementi da mettere a disposizione di chi a sua volta è disponibile a leggere e scovare il libro nel mare della produzione editoriale. Il gesto del lettore che taglia le pagine del libro è un rituale magico, perché rende ogni volume uguale agli altri fino all’atto dell’effrazione, da quel momento in poi è unico.

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