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Roma
Elezioni a Roma, processo a Renzi. Candidati in fuga dalla realtà

di Marco Zonetti

Lotta al degrado, decoro, ripianificazione urbana? Se pensate siano questi i temi principali della campagna elettorale romana sbagliate di grosso. Il tormentone preferito dei concorrenti alle amministrative capitoline è infatti Matteo Renzi. Si discetta di disagi alla viabilità ed è la testa di Renzi a spuntare da ogni buca; si sviscera il problema del degrado del patrimonio artistico e su ogni crepa di ogni monumento si disegnano i lineamenti di Renzi; si chiamano in causa i rom e il viso di Renzi fa capolino dai carrelli per il rovistaggio. Insomma a Roma, il 5 giugno, è lui il nemico da battere, lui il feticcio voodoo su cui alla fine si accaniscono tutti i protagonisti intenti, fino a un istante prima, a punzecchiarsi a vicenda.
Fatta eccezione (forse) per Roberto Giachetti, la crociata dei candidati romani contro Renzi fa il paio con quella sulla stampa, in TV e sui social nazionali, dove si celebra ogni giorno il processo mediatico al Presidente del Consiglio. Giornalisti illustri; noti parlamentari; esponenti incravattati-(in)gessati-coiffati della politica – sedicente – antisistema; conduttori illuminati (da uno sfavillio di luci che neanche il 4 luglio ad Atlanta), si ergono al tempo stesso ad accusa, giuria, giudici, boia e becchini dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi. Archiviato – almeno dal punto di vista della premiership – Silvio Berlusconi, il fenomeno dell’antiberlusconismo si è tramutato in antirenzismo, sua malattia degenerativa assurta a nuovo canone dell’informazione politica italiana di oggi. Ma con una variante: mentre ai tempi di Silvio Berlusconi l’antiberlusconismo era prerogativa dell’opposizione, ai tempi di Matteo Renzi un pervicace antirenzismo dilaga anche nel PD, per la classica legge di Tafazzi che regola spesso la linea di condotta della Sinistra italiana.
Nella fattispecie della campagna romana, sparare tout court su Renzi (così come sparare a prescindere su Berlusconi all’epoca) è una linea del tutto strumentale per le opposizioni, poiché permette di creare un “nemico esterno” su cui concentrare il fuoco, non attaccando esponenti di altri partiti rivali che possono sempre tornare comodi per alleanze strategiche. Mentre nella maggioranza Renzi diventa un “nemico interno” utile a cementare fazioni intestine.
Parlarne male nei comizi elettorali diviene una sorta di argomento jolly per non rischiare di sbagliare, “tanto va sempre bene”. Come discettare del maltempo con la vicina di casa che s’incontra malauguratamente sul pianerottolo. È la dinamica spicciola del “piove, governo ladro”, che – dal bar sotto casa – si è trasferita da tempo nei discorsi pubblici, sulla stampa, sui social e in TV. Dinamica che oggi tuttavia, nel caso dei talk show politici, non giova granché allo share come invece pagava all’epoca di Silvio Berlusconi premier, e la ragione è molto semplice: Matteo Renzi a tutt’oggi non si è reso personalmente protagonista (o vittima inconsapevole, a seconda di come si voglia vedere il Berlusconi dell’epoca) di scandali a sfondo sessuale (i preferiti dell’uomo della strada, ovvero l’elettore medio), che invece spopolavano qualche anno fa. Renzi è piuttosto “noiosetto” in merito. A questo proposito, si ha la sensazione che la vicenda di Banca Etruria sia alimentata solo perché vi è legato il nome di Maria Elena Boschi su cui si spreca il gossip rosa, e che dei risparmiatori truffati – in fondo – non interessi nulla a nessuno, a parte ai risparmiatori truffati. L’affaire Guidi pare aver destato scalpore più per le dichiarazioni accorate dell’ex ministro al suo ex compagno che non per il fatto in sé. Bricioline per gli appassionati dei sexgate, ovvero la maggioranza degli italiani. Ecco perché, forse, l’antirenzismo televisivo, quanto ad ascolti, non è altrettanto “remunerativo” dell’antiberlusconismo di cui è diretta derivazione.
Il crucifige funziona invece alla grande nell’agone delle amministrative: a Roma, per esempio, “l’uomo di paglia” Renzi mette d’accordo tutti. Fa fine, non impegna e sta bene sul blu, che guarda caso è il colore preferito di Berlusconi. Tutto si tiene. Alla luce di tanto accanimento sorge un dubbio: non sarà che l’antirenzismo, sulla scia dell’antiberlusconismo d’un tempo, costituisca l’arma di distrazione di massa che permette ai candidati di non prendere troppi impegni su problematiche locali, poiché pericolosamente vincolanti nel caso di vittoria alle elezioni?
Questo non ci è dato sapere. Il processo – la campagna elettorale – continua.

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