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Roma
I brani del best seller denuncia che fa tremare Roma

L'OSTILITA' DI MATTEO RENZI

“Dalla primavera del 2015 era chiaro a tutti: Matteo Renzi non tollerava la mia presenza in Campidoglio e sarebbe stato disposto a qualunque atto pur di liberarsi di un amministratore che egli stesso definiva onesto ma che non rispondeva a quell'omologazione che il suo stile di governo vuole introdurre sia nel Partito democratico, si cui egli è segretario nazionale, sia nelle diverse istituzioni ed enti che costituiscono la nostra Repubblica. Menti libere e indipendenti non sono gradite e, soprattutto, non è gradito chi, invece della linea di comando di partito, utilizza criteri basati sul merito per la selezione della classe dirigente”.

IL “MERCATO” DELLE CARICHE

“C'era una figura che dal capogruppo del Partito Democratico, Francesco D'Ausilio, mi era proposta per quasi ogni incarico, dai trasporti pubblici alla gestione dei rifiuti. Io non ero particolarmente colpito dal curriculum ma, data l'insistenza, decisi di fissare un colloquio con questo professionista nel momento in cui cercavo un tecnico per la posizione di amministratore delegato dell'Ama:un'azienda che gestisce cinquemila tonnellate d'immondizia al giorno. Quando chiesi al mio interlocutore se, nonostante l'assenza dal suo curriculum di qualunque esperienza nel settore, avesse almeno accettato di rinunciare ai molti altri incarichi professionali che aveva per dedicarsi interamente alla sfida della pulizia e del decoro della città, mi rispose con un secco no. Ma mi suggerì una soluzione: invece di proporlo come amministratore delegato avrei potuto indicarlo come presidente, carica che gli avrebbe sottratto solo poche ore ogni mese, e comunque ben remunerata. Riferii il colloquio al capogruppo del Partito democratico immaginando che anch'egli si sarebbe irritato: invece, con mia sorpresa, trovò opportuna la richiesta che io comunque non presi neanche in considerazione.”

MODUS OPERANDI E OBIETTIVI

“Il nostro modo di operare è stato fin dal primo giorno all'insegna della trasparenza e della sobrietà, al punto che a volte la trasparenza è stata interpretata come inegnuità e la sobrietà è stata scambiata per “distanza”. Dalle elezioni del giugno 2013, con cui quasi 700mila romane e romai  mis celsero, al momento in cui, su mandato di Matteo Renzi, ventisei individui – diciannove consiglieri del Partito Democratico e sette dell'opposizione, chiusi nella stanza di un notaio -m in spregio al popolo di Roma, decisero di farmi cadere, le linee guida del mio agire sono sempre state coetenti. Risanare la città, a partire dai suoi , e restituire alla capitale d'Italia la dignità internazionale che merita. Mi ero posto un termine per risanare i conti da bancarotta che trovai. Trenta mesi di lacrime e sangue, e poi avrei finalmente potuto iniziare a investire, acquistare nuovi autobus, tram, sostituire le rotaie della metro, illuminare a led tutta la città, riparare strade e marciapiedi, aprire nuovi cantieri ma senza inedbitare i romani e gli italiani come invece era stato fatto in passato”.

IL DEBITO MILIONARIO

“Analizzando i numeri e i grafici, è impressionante osservare cosa sia accaduto a Roma: alcuni sindaci durante il loro mandato hanno determinato, con le loro scelte e i loro comportamenti, un passivo di quasi un milione di euro ogni ventiquattr'ore, sino a raggiungere la somma mostruosa di oltre ventiquattro miliardi di debiti creati sino al giorno della mia elezione nel 2013. Per come sono andate le cose, dubito fortemente che la strada di risanamento tracciata a Roma dalla mia giunta possa continuare”.

LA CONFESSIONE

“Quali sentimenti hanno attraversato il mio animo in questi ventotto mesi, cosa resta e cosa è possibile oggi? Ho lavorato sette giorni su sette, quindici-sedici ore al giorno, sacrificando ogni altro aspetto della mia vita: ho trascurato le persone che amo e che mi amano, ho rinunciato alla passeggiata con un'amica, a guardare un film con mia figlia, a rispondere alla telefonata di una sorella, a trascorrere tempo con la mia mamma novantenne, a scrivere o a collegarmi via skype con un amico lontano. Ero lacerato nell'animo, perché sapevo che questa mia assenza faceva soffrire chi mi vuoele bene, e tanto ne ho sofferto anche io. In diverse occasioni ho sentito la struggente nostalgia di un momento mio, privato, e di tutte quelle attività quotidiane, a volte piccole, ma così necessarie   a ciascuno di noi. Dicevo che mi ero dovuto prendere un periodo di “aspettativa dalla vita”, e che era necessario per Roma.  Questi patimenti non erano compensati dalla soddisfazione che spesso accompagna chi a vari livelli detiene il “potere”. Il potere fine a se stesso non mi è mai interessato. Al potere come sostantivo preferisco, senza dubbio, il potere come verbo: poter fare, poter progettare, poter individuare la soluzione ai problemi”.

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