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Roma
I fantasmi di Adriana Soares nel suo primo romanzo: originalità, oblio, morte

“Presenze invisibili a Quixadá” rappresenta la nona fatica letteraria della sorprendente autrice Adriana Soares, fotografa, pittrice, poetessa, giornalista pubblicista alla sua prima prova da romanziera. Il libro è già disponibile alla vendita in modo indipendente.

 

Con questo romanzo, ambientato in una località denominata Quixadá, nello stato del Ceará, sito nel Nordest del Brasile, luogo di nascita del padre dell’autrice, avviene il vero battesimo del fuoco: la prova cadetta di qualsiasi vero autore che scrive non per diletto, ma per raccontare il proprio mondo, il proprio vissuto, mettendosi alla prova con un genere di cui, Adriana Soares, può rivendicare a pieno titolo l’originalità. Il romanzo è figlio della cultura e della sensibilità latino americana, che fa parte della formazione cultural letteraria dell’autrice. È un thriller psicologico, sicuramente psicotico, laddove il protagonista Bernardo José fugge da qualcosa o da qualcuno, forse da un crimine, che ha rimosso per sopravvivenza o per convenienza. Come un Enea che abbandona le rovine della sua vita antecedente, distrutta, dimenticata, giunge ad una fazenda nel Nord Est del Brasile, un posto del ricordo, luogo di passaggio, di confine, forse, da dove bisogna pur passare per fare i conti con se stessi.

La proprietaria, Melinda, lo accoglierà sottomettendolo e umiliandolo, per compiacere se stessa e affermare il suo forte ego, di donna che deve affermare la sua personalità, per allontanare qualsiasi idea di fragilità al femminile. Elvira, la sorella di Melinda, reduce da un passato infelice, ha la capacità di comunicare con il mondo dell’aldilà, vedendo il suo quasi marito morto che l’aveva abbandonata sull’altare.

Originalità, colpe, oblio, morte, i personaggi del romanzo di Adriana Soares ruotano attorno a questi temi. Bernardo José ne è il protagonista, ottunde la sua ragione, grazie ai faticosi incessanti lavori manuali che Melinda gli infligge senza pietà. Bernardo perde la parola e la capacità di scrivere e di comunicare. Perde sé stesso, la sua umanità cercando di mutar forma, alla ricerca di una via di fuga: si vede tronco, pietra, serpente, pianta, ratto, mucca, collina, poi si ritrova uomo per perdersi nuovamente, lavato dalle acque, dal diluvio tanto atteso da tutti.

Il lettore si chiede: quale terribile colpa avrà mai commesso quest’uomo per accettare tali umiliazioni. E un modo per punirsi? Per ricordare o per paura di trovare ricordando, delle risposte che teme e a cui sfugge? Adriana Soares, con sapiente maestria, utilizza questi diversi ingredienti per affabulare, creare tensione, suspense, spingendo chi legge a cercare di capire, di scovare nelle profondità dell’animo tormentato di quest’uomo, che cerca di fuggire dal suo destino, non capendo, invece, di andargli dritto incontro. Cosa vuole suggerirci l’autrice? È sufficiente ricordare per accettare e pentirsi delle proprie colpe? Il finale inedito, ci sorprenderà tutti perché fuori dagli schemi, dai cliché. La natura arida di quella regione, fuori dagli itinerari turistici, è mirabilmente rappresentata quale un luogo dell’anima di tutti noi, che corriamo nelle nostre vite alla ricerca di qualcosa, ma forse, in realtà, fuggiamo da un passato che ci perseguita e mai si risolverà, forse neanche di fronte al sommo giudizio a cui tutti noi saremo un giorno chiamati.

Non siamo che fantasmi persi in una terra di frontiera, dove vaghiamo apparentemente occupati da noi stessi, dai nostri pensieri, pulsioni e debolezze. Viviamo sospirando, in balìa dei rimpianti e morendo ogni momento un po’ di più. Fino a quando non saremo obbligati a fare i conti con il nostro passato ed il nostro vissuto, magari a tacere per essere liberi. Liberi e salvi oppure schiavi e perduti? O perdutamente liberi rispetto a giustamente schiavi? Per molti ma non per tutti.

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