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Roma
Ini, sfruttavano malati oncologici: trattati come mostri ora l'archiviazione
Christopher Faroni, Gruppo Ini

Succede a Roma dove una delle famiglie più note della sanità privata viene accusata di aver truffato i rimborsi al Servizio Sanitario per aver “lucrato sui malati oncologici”. Dopo 7 anni di gogna mediatica, il Tribunale di Velletri decide che non c'è bisogno del processo: “assolti”.

A raccontare una vicenda emblematica è il direttore generale del Gruppo Ini, Christopher Faroni: “E’ la fine della peggiore delle infamie. Sopportati anni di gogna mediatica senza nemmeno un processo. Ora in molti ci dovrebbero delle scuse”.

La storia

Provate a immaginare di essere una delle famiglie storiche della sanità privata, di essere accusati di aver lucrato sui pazienti oncologici, di aver truffato il sistema sanitario con prestazioni false ai malati di tumore, di vivere con la consapevolezza di non aver commesso nulla di irregolare, di essere sbattuti in prima pagina come il “mostro” mediatico da demolire, e dopo 7 anni di vedere riconosciuta la propria innocenza con un’archiviazione, senza nemmeno la necessità di un processo.

Tutto questo è accaduto alla famiglia Faroni, alla guida dal 1947 del Gruppo INI, una delle più importanti realtà della sanità privata, oggetto di un’inchiesta partita nel 2017 relativa a una presunta truffa per dei rimborsi “gonfiati” per prestazioni oncologiche mai rese ai pazienti, archiviata dal Tribunale di Velletri senza nemmeno la necessità di andare a processo.

Faroni: “Per la famiglia, l'azienda e i dipendenti è la fine di un incubo”

“Finisce un incubo. Oggi siamo molto soddisfatti per l’archiviazione, ci riappropriamo della dignità che per 7 lunghi anni è stata messa in discussione con l’accusa più infamante, quella di aver lucrato sui malati di tumore”.

Dal sequestro delle cartelle mediche al sequestro preventivo di 10 mln di euro

La vicenda parte nel 2017, con il sequestro di alcune cartelle cliniche relative a pazienti oncologici. INI Grottaferrata, la clinica principale del Gruppo omonimo, viene accusata di aver ottenuto rimborsi dalla Regione per cure mai rese: un’accusa pensante di per sé, resa ancora più odiosa perchè riguarda casi di persone malate di tumore. Da lì l’inizio di un calvario giudiziario. Nel mezzo un sequestro preventivo di 10 milioni di euro a dicembre 2022, ancora in corso, fino all’archiviazione di questi giorni.

Faroni, Cosa significa per voi questa archiviazione?

“È difficile riuscire a spiegare la gioia per questa archiviazione. Non auguro a nessuno di vivere quello che abbiamo passato in questi anni, convivendo con la peggiore delle accuse possibile per chi si occupa di sanità: lucrare sui malati di tumore”.

Che ripercussioni ha avuto questa vicenda?

“Ne ha avute tante e su vari piani. Penso prima di tutto ai malati di tumore che si sono curati da noi. Il percorso di cura è fondato sul rapporto di fiducia che si instaura tra paziente, medici e struttura. Provate a immaginare quanto questa vicenda possa aver minato questo aspetto. Vorrei ricordare che l’INI rappresenta l’eccellenza in oncologia da decenni. Non lo dico io, ma i riconoscimenti nazionali e internazionali ricevuti in tutti questi anni, tra tutti quelli di ESMO, European Society for Medical Oncology e recentemente di MASCC (Multinational Association Supportive Care in Cancer), due importantissime realtà riconosciute in tutto il mondo.”

Da imprenditore, alla guida di un’azienda da quasi 1500 collaboratori, cosa ha significato dal punto di vista operativo?

“Penso ai collaboratori che vedevano i propri dirigenti sbattuti in prima pagina con accusa infamanti, sapendo di aver fatto correttamente il proprio lavoro. Con quale spirito lavorerebbe? Ma pensi a quanti problemi abbiamo avuto con gli istituti di credito, con i nostri partner commerciali. Il sequestro di 10 milioni di euro a dicembre 2022 è stato un altro colpo durissimo, che consideriamo ingiusto. Tutto questo ci ha creato notevoli problemi con i dipendenti, ha bloccato investimenti che avremmo voluto fare per l’evoluzione tecnologica delle nostre cliniche a beneficio dei pazienti, bloccato assunzioni, rallentato il piano di sviluppo aziendale in ogni forma. Per non parlare del piano personale. In tanti ci dovrebbero delle scuse, questa vicenda lascia tanti strascichi”.

Rimane aperto, a onor di cronaca, la questione relativa alle prestazioni urologiche, per la quale c’è stato il rinvio a giudizio. In questo caso l’accusa è di aver utilizzato codici più remunerativi per i rimborsi sugli interventi di urologia.

“Siamo molto sereni e fiduciosi che anche questa vicenda si risolva positivamente. Stiamo parlando di una questione puramente amministrativa e tecnica. Abbiamo fatturato come fatturavano tutte le strutture sanitarie del Lazio, ma solo il Gruppo INI è coinvolto in un procedimento penale. Strano, no”?

Cosa intende dire?

“Abbiamo fiducia nella giustizia, nonostante sia stata messa a dura prova in questi anni. La posizione riguardante la vicenda delle prestazioni urologiche sarà chiarita nel processo che seguirà e a tal proposito aspettiamo che venga fatta piena luce sui tanti aspetti strani di questa vicenda. Deve sapere che lo scorso anno, a seguito a una mia denuncia per ricatti e intimidazioni subiti, un carabiniere infedele e un ex sindacalista sono stati condannati a 6 e 5 anni. Dagli atti del processo e dalle intercettazioni è emerso che questi personaggi intrattenevano rapporti con sedicenti funzionari dell’Amministrazione Regionale della precedente giunta. Si dovrà spiegare perché l’oggetto di quelle conversazioni fosse l’annullamento dell’accreditamento dell’INI Grottaferrata. Certamente il processo farà luce su questi aspetti restituendo dignità e integrità morale a tutte le persone del Gruppo INI le cui vite sono state sconvolte da questa inchiesta”.

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