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Roma
Le donne di Action: "Cara Raggi siamo occupanti per non morire di fame”

In campagna elettorale non li ha voluti mai incontrare ma ora il sindaco Raggi con gli occupanti dei palazzi occupati ci dovrà fare i conti per forza, e pure con le tantissime donne che le popolano e animano. A spedire una lettera indirizzata alla prima cittadina sono proprio le donne di Action, italiane e straniere, mamme e non, per chiedere un confronto sulle politiche abitative e sociali dimenticati in questa città.
“La pratica delle occupazioni abitative per noi non è una ideologia ma una necessità per non morire di povertà, il nostro obiettivo è e rimane quello di poter avere, accedere ad una casa popolare, sociale”, scrivono. "La nostra paura, quella che non ci fa dormire la notte, quella che ci ha spinto a fare lo sciopero della fame, un mese e mezzo fa circa, è quella di rimanere occupanti per sempre, è quella di restare invisibili, è quella di non poter offrire ai nostri figli, a chi ci è accanto e a noi stesse, una opportunità di riscatto e di diritti”.

La lettera

"Ciao Virginia, siamo 700 donne, siamo occupanti, sfrattate, studentesse, lavoratrici, mamme, single, sposate, siamo eritree, italiane, russe, brasiliane, africane, arabe, alcune di noi vivono nelle occupazioni altre no, altre stanno per essere sfrattate. Siamo parte del movimento di Action, abbiamo deciso di scriverti a partire dalla convinzione che il diritto all’abitare sia uno dei principali fattori che determinano la qualità della vita e il rispetto dei diritti di cittadinanza. Ed è proprio su questo punto che vorremmo confrontarci con te, sull’insostenibile situazione del mercato abitativo romano, sull’impossibilità di accesso ad una casa popolare e sulla costante e crescente emergenza sfratti e sgomberi, gestiti unicamente come tema di ordine pubblico".
E' quanto scrivono in una lettera indirizzata al sindaco Virginia Raggi le donne di Action Diritti. "Crescono le diseguaglianze sociali e le povertà anche a causa di redditi pro capite sempre più esigui e sempre più irrilevanti quando parliamo di donne. Infatti, quando parliamo di crisi, quando parliamo di emergenza casa, noi siamo colpite due volte, spesso discriminate, sfruttate nei luoghi di lavoro, licenziate perché abbiamo figli o ne siamo in 'dolce' attesa. Non a caso nei processi di lotta per la casa, il nostro ruolo non è marginale, poiché la casa è il primo spazio, luogo sicuro da cui partire, da cui costruirsi una vita dignitosa, da cui elaborare percorsi di resilienza e per noi anche di riscatto! Tuttavia, le diverse amministrazioni che si sono succedute in Campidoglio, non hanno saputo cogliere l’importanza del valore costituzionale dell’ abitare.
Così nei vari anni - continua la lettera -, abbiamo assistito a un costante aumento estrattivo del consumo di suolo, a un progressivo sfollamento dei poveri dal centro città oltre il confine delle periferie, a una continua svendita del patrimonio pubblico che comunque non ha prodotto ricchezza e né benessere per i suoi cittadini. Per tutto questo la nostra lotta agisce nei territori, per contrastare, provare ad arginare lo strapotere di alcuni a scapito di molti. Noi liberiamo grandi immobili privati o pubblici che sono oggetto di speculazione, liberiamo questi spazi vuoti e abbandonati e li riempiamo di vite, di bambini, di una socialità che diversamente in questa città avrebbe trovato posto, se non per strada o sotto i ponti. Proviamo, in assenza della politica, a sanzionare noi i veri colpevoli del disagio, dell’emergenza abitativa, degli sfratti violenti operati contro una umanità povera e disperata". "Noi non occupiamo le case popolari ma sperimentiamo all’interno delle occupazioni e nei territori in cui esistiamo, processi generativi dei commons, di rigenarazione urbana aperta e accessibile a tutti. Le nostre case, le nostre occupazioni, sono luoghi centrali e mai frontiere, in cui si incrociano e si confrontano diverse pratiche politiche istituzionali e dal basso. Certamente abbiamo consapevolezza che la questione abitativa riguarda Roma così come tutto il nostro Paese. Infatti si è smesso di investire nel patrimonio pubblico, l’abitare da 'Bene Comune' e di diritto è diventato esclusivamente bene 'privatistico'. Ad aggiungere un carico ad una situazione già molto pesante, ci ha pensato l’ex ministro Lupi, attrraverso la legge 47 del 28 marzo/14, in cui vi è il famoso articolo 5 che dispone, ordina per chi non ha casa, per chi occupa, la cancellazione della residenza o l’inaccessibilità a richiederla e di conseguenza non ha il diritto di allacci delle utenze, come acqua, luce, gas. Questo articolo impedisce l’ accesso anche ai più basilari diritti come poter iscrivere i propri figli a scuola, avere il medico di base e cure mediche. La legge Lupi, così come tutti i dispositivi di legge locali e nazionali sull’abitare, hanno solo introdotto il principio secondo cui, se sei povero, non hai diritto di esistere, ti cancello e ti tolgo anche la carta di identità, se sei povero non hai diritto di visibilità, non puoi vivere nel centro della città. Le nostre lotte, le azioni legittime di liberare stabili in assenza di politiche adeguate, ha portato negli anni ad ottenere risultati importanti per tutti i senza casa. Ultimo risultato è stato il piano straordinario della Regione Lazio. Questo è un altro punto con cui vorremmo con te confrontarci. Attuare il piano casa, potrebbe risolvere una parte dell’ emergenza abitativa, riattivare il piano delle assegnazioni erp, ridisegnare una parte di città a beneficio degli ultimi attraverso la rigenerazione del patrimonio pubblico e privato dismesso o abbandonato". "La nostra paura, quella che non ci fa dormire la notte, quella che ci ha spinto a fare lo sciopero della fame, un mese e mezzo fa circa, è quella di rimanere occupanti per sempre, è quella di restare invisibili, è quella di non poter offrire ai nostri figli, a chi ci è accanto e a noi stesse, una opportunità di riscatto e di diritti. La pratica delle occupazioni abitative per noi non è una ideologia ma una necessità per non morire di povertà, il nostro obiettivo è e rimane quello di poter avere, accedere ad una casa popolare, sociale. La nostra ideologia invece è quella di voler costruire un mondo migliore, soprattutto in questo tempo di guerre, costruire nel nostro piccolo delle comunità, territori accoglienti e accessibili, attraverso la cultura dell’ inclusione, di processi partecipativi, di solidarietà e di comune. Siamo convinte che promuovere politiche pubbliche per la casa significa anche contrastare le povertà e promuovere sicurezza sociale fatta di benessere, di convivenza, di città a misura di donne. Certe - conclude la lettera - che l’attivazione di processi di rigenarazione urbana di molti edifici dismessi, di processi partecipativi dal basso, di assunzione dell’abitare come bene comune, possano essere i pròdromi coraggiosi del tanto agognato cambiamento. E adesso siamo nell’attesa del seguito, la speranza, tra le tante amarezze di oggi, di un po' di dolce nel prossimo futuro".

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