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Roma
Lusso made in Italy: Bruzziches paladina degli artigiani. Le idee? In sogno

di Tiziana Galli

Luxury bags da red carpet rigorosamente hand made, vengono alla luce a Caprarola per mano, anima e cuore di Benedetta Bruzziches. A capo della sua azienda, la designer con l’ausilio del fratello Agostino, dal 2009 ha dato vita ad una rinascita delle attività artigianali del luogo, garantendo un prodotto italiano al 100%.

Non parliamo di semplici accessori, ma di borse talismano, che raccontano storie; a Benedetta appaiono in sogno e poi cerca il modo per poterle realizzare.

“Produrre in Italia significa rivolgersi necessariamente al mercato del lusso” incalza la designer “a fronte della ricerca della qualità i costi sono altissimi e le piccole aziende lottano per sopravvivere, e per rimanere indipendenti. Mi lascio ispirare dalla figura di Giovanna D’Arco”, continua Benedetta, “un’eletta alla volta di un mercato spietato, che va sedotto e riconquistato stagione dopo stagione. Non è un lavoro per vecchi questo, essere indipendente nel fashion-system significa riuscire nel piccolo a mettere in atto le stesse strategie delle grandi aziende: essere all’avanguardia nella ricerca creativa e nello sviluppo, puntuali nella produzione, capillari nella distribuzione, spumeggianti nella comunicazione, quando però in azienda sei in 7 e non in 700 ”.  È un sentire a tinte forti quello della Bruzziches, che mentre mostra una percezione della realtà molto lucida e disincantata così la racconta.

Com’ è iniziata la sua avventura?

“All’insegna del 'Proviamoci'! Un viaggio alla volta di Milano con il bagagliaio pieno dei primi campioni e la lista degli showroom scaricata dall’elenco telefonico, che nel 2009 ancora si usava. Tante porte chiuse e qualche consiglio da chi ha visto in noi una scommessa del futuro un po’ fricchettona. Così da uno di questi showroom abbiamo appreso che per distribuire bisognava fare le fiere. Iniziammo dalla più importante fra tutte, TRA NOI di Parigi, dove incredibilmente ci presero subito. Partimmo con il camion di mio zio e uno stand fabbricato da un altro zio falegname, io, mio fratello, i fidanzati e i biscotti di mamma! Ricordo che ci avevano assegnato un posto terribile alla fine del percorso della fiera e i visitatori quando passavano erano stanchissimi e non avevano voglia di fermarsi. Noi li adescavamo con i biscotti di mia madre e poi presentavamo loro le mie borse. Quello fu un buon inizio, ma ce ne furono altri, perché molte volte abbiamo perso tutto e ricominciato da zero. Non è un lavoro in cui ti puoi sedere, ti devi rinnovare ogni stagione: ogni tre mesi creiamo e produciamo una nuova collezione ed ogni collezione è una scommessa sul futuro”.

Oggi quanto costa al pubblico una sua borsa?

Vanno da un minimo di 675 euro ai 2.500 euro. Che è poco per il livello qualitativo dei pezzi che produciamo. E questo perché io e mio fratello gestiamo direttamente la filiera produttiva. Ci rechiamo personalmente nei vari laboratori e ricerchiamo quelle soluzioni che consentono di favorire la qualità del prodotto e l’integrità dell’idea contenendo i costi. In questo modo riusciamo ad evitare gli intermediari che fanno lievitare le spese limitando la creatività. Per me che sono lo spirito creativo, essere dentro i cicli produttivi significa progettare non solo l’estetica, sovvertendo o integrando i processi, ma ridefinire trasversalmente le lavorazioni artigianali e tecnologiche, sviluppando pezzi davvero unici come l’intarsio applicato alla scultura 3d, la modellazione manuale di materie plastiche, o lo sviluppo dei ricami in porcellana di limoges”.

E a lei quanto costano le sue borse?

"Io non voglio sapere i prezzi, a quello pensa mio fratello Agostino. Io mi curo di fare cose belle. Da italiana preferisco così: per necessità e per rispetto della mia storia”.

Se le dico sostenibilità?

“Mi capita spesso di essere fermata per strada da persone che mi dicono quanto il mio lavoro sia prezioso e li ispiri. Questo fatto, significa che stiamo creando un tipo di sostenibilità umana e ritengo che oggi sia fondamentale rendere credibile l’idea di un futuro a portata d’uomo.La sostenibilità della produzione è qualcosa che va oltre l’uso di materiali “eco”: è la possibilità di usare il lavoro come strumento di crescita personale, sociale e culturale.Come sancisce la nostra carta costituzionale, all’articolo 4, il lavoro deve contribuire al progresso “materiale e spirituale della società” e come capo d’azienda questa è la sostenibilità che mi sta più a cuore. Noi siamo un gruppo di amici che lavorano in armonia.L’atmosfera che si respira da noi è di benessere, se così non fosse lo vivrei come un fallimento personale. Qui si deve stare bene.Ho sperimentato sulla mia pelle la difficoltà di lavorare in un ambiente divisivo e competitivo e questo mi ha insegnato tutta l’insostenibilità del sistema. Solidarietà, onestà e rispetto, sono caratteristiche intrinseche della sostenibilità stessa, terreno fertile per una produttività felice e vincente.Noi siamo quelli del muretto che si vedono e fanno borse: le più belle ma soprattutto le più buone”.

Quali sono le difficoltà maggiori che si incontrano quando si avvia un’azienda?

“Se sei piccolo e senza investitori le difficoltà rischiano di spazzarti via con la potenza di uno tsunami. Imparare a surfare è fondamentale, e non basta essere fuoriclasse, bisogna anche essere fortunati. Surfare tra il risucchio di una burocrazia castrante, che vincola eccessivamente, ruba tempo e risorse e l’assenza di incentivi per le aziende che riescono a farcela nonostante tutto.Ci vorrebbe una possibilità anche per chi, dopo aver dimostrato di poter stare a galla, voglia rimanere indipendente ma ha bisogno di quella spinta, economica e amministrativa, per fare quel salto che solo i capitali riescono ad operare.Poi ci vorrebbe che i colossi della moda, che sempre più spesso si lasciano ispirare da realtà creativamente libere come la mia, anziché “ispirarsi”, al lavoro di chi per restare nel mercato “deve” inventarsi soluzioni innovative, affiliasse i creativi stessi. Le consulenze che ne deriverebbero sarebbero decisive per la crescita organica di noi piccoli e pionieri. Insomma ci vorrebbe un sistema moda realmente impegnato nella salvaguardia di certe realtà in estinzione. Sogno?

Sono intimamente convinta che noi siamo un miracolo. Lo dimostra il fatto che di realtà emergenti in Italia ce ne sono davvero poche. E so anche che siamo destinati ad essere eternamente emergenti e mai emersi, perché continuamente sommersi. E sono consapevole che non serve “avere speranza”, piuttosto dobbiamo “essere speranza”. Per questo, quando posso, sono felice di essere solidale con altre realtà come la mia. È necessario formare una cordata tra di noi, essere uniti.

Mi è capitato, però, che per perseguire questo ideale di collaborazionismo solidale mi sono ritrovata pugnalata alla schiena proprio da chi avevo sostenuto: mesi fa, per aiutare un collega, noto designer di scarpe, al quale ho messo a disposizione i miei fornitori e la mia filiera, mi sono ritrovata caricata dei suoi debiti.  Lui dopo aver realizzato i suoi accessori, con i miei strumenti, ha pagato solo l’ultimo anello della catena produttiva per ritirarli, approfittando della disonestà di un fornitore e lasciando tutte le altre spese sulle mie spalle. Questo, a parer mio, è l’aspetto più agghiacciante del sistema; agghiacciante da far suonare a morto tutte le campane di Roma. Per dirla col Marchese del Grillo, è morta l’etica.

Siamo impegnati a creare il futuro, sappiamo di meritarci di più: più possibilità lavorative, più gratificanti, più libertà di sognare in grande, ma senza una maggiore cura per “l’infanzia” delle piccole imprese e, ancora prima, senza un’educazione alla bellezza e all’onestà, molto presto sarà impossibile per il singolo che non disponga di liquidità economica pensare di avviare un’impresa, etimologia azzeccatissima, anche se piccola. Per questo è fondamentale sensibilizzarci tutti all’acquisto di prodotti provenienti da piccole realtà, perché sopravvivano e se ne creino di nuove. Questa potrebbe essere l’opportunità per un nuovo Rinascimento, finalmente scevro dai lacci di un sistema ostracizzante che ci vuole consumatori dipendenti e inconsapevoli”.

Benedetta Bruzziches

Età: 33 anni – classe 1985Formazione: maturità classica – IED (settore abbigliamento)Dal 2007 al 2009: assistente personale di Romeo Gigli; esperienze lavorative in Brasile, Cina ed India.Quando ha iniziato: ha dato vita al suo brand nel 2009 .Dove vende: Bergdorf Goodman, Selfridges, Fenwik, Browns, Saks, Harvey Nichols…In Italia: In boutique selezionate nelle maggiori città italiane

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