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Roma
Marta Russo 20 anni dopo: lei è morta e la Giustizia in Italia è moribonda

di Patrizio J. Macci


Il 9 maggio del 1997 alle ore 11,40 del mattino una studentessa di ventidue anni iscritta alla Facoltà di giurisprudenza dell’università La Sapienza di Roma, cammina in un vialetto della Cittadella. Ha ancora seimilaquattrocentottanta minuti di vita ma lei non lo può sapere. Forse sente un botto sordo - nessuno lo potrà mai verificare - o un tonfo, si affloscia per terra. Si pensa a un malore, forse una sincope o una banale mancanza di zuccheri.


Papa Woytila siede sul trono di Pietro, in Campidoglio c’è un sindaco che se ne va in giro in motorino ed è stato segretario del Partito Radicale: si chiama Francesco Rutelli. Un mese prima nella sfida tra il computer Deep Blue della IBM e Garry Kasparov per la prima volta un “cervello elettronico” ha battuto a scacchi un grande maestro. Lo stesso giorno un gruppo di nostalgici della Serenissima Repubblica di Venezia dirotta un battello e, giunti in Piazza San Marco, occupano per breve tempo il Campanile. I telefoni cellulari viaggiano ancora con una tecnologia primitiva, possederlo è uno status symbol e si usano solo per parlare. Da questo in punto poi della storia di sicuro c’è solo che la ragazza afflosciata sull’asfalto non si risveglierà più.
Da quel preciso istante, pur non avendola mai incontrata, milioni di italiani si abitueranno a riconoscere questa ragazza guardando una fotografia. Il suo è il terzo volto di donna che diverrà iconico per i romani dopo quello di Emanuela Orlandi scomparsa nel 1983 e mai ritrovata, e quello Simonetta Cesaroni che nell’agosto 1990 è stata rinvenuta uccisa con ventinove coltellate in uno studio contabile in via Poma. Un patchwork di sole donne uccise destinato a rimanere senza firma.

I fatti
Si chiama Marta Russo ma questo gli italiani lo impareranno nei sei anni che seguiranno, la durata complessiva dell’iter giudiziario che cercherà di stabilire chi e perché le ha tolto la vita in una calda mattina di maggio. Un sondaggio rivelerà che la settimana nel quale è avvenuto il delitto è stato proprio il ferimento e la sua morte a colpire maggiormente gli italiani (il 62% delle persone intervistate), staccando nettamente l’impresa degli aspiranti secessionisti veneti in piazza San Marco (21%) e l’improvvisa ondata di caldo (7%).
Nel 2003 viene condannato in via definitiva per il delitto, principalmente sulla base di una controversa testimonianza, un assistente universitario di filosofia del diritto, Giovanni Scattone, per omicidio colposo aggravato. Un suo collega, Salvatore Ferraro, viene condannato limitatamente al reato di favoreggiamento personale; entrambi si sono sempre professati innocenti. Nella prima sentenza si specifica che Scattone avrebbe esploso un colpo per errore, maneggiando una pistola per motivi ignoti, forse per provare l'arma sparando contro un muro o senza sapere che fosse carica, e Ferraro lo avrebbe coperto, tacendo e portando via l'arma. Il delitto fu definito colposo anche perché Scattone non avrebbe potuto, dalla posizione in cui si sarebbe trovato, esplodere un colpo mirato, né avrebbe compiuto un'azione dolosa in presenza di tanti testimoni. Il terzo indagato, l'usciere e laureando Francesco Liparota, venne assolto dall'accusa di favoreggiamento dalla Cassazione.

Lo sbarco su Amazon
La montagna (dell’Accusa) partorì un topolino. Questi i fatti. Vent’anni dopo Vittorio Pezzuto (già autore dell'acclamata biografia di Enzo Tortora "Applausi e sputi"), che a questa vicenda ha dedicato anni di studio dopo aver raccolto una mole imponente di documentazione (15mila pagine di atti giudiziari e poco più di 8mila articoli di quotidiani e periodici) toglie la polvere dal catasto della memoria collettiva e firma una controinchiesta che ricostruisce filologicamente quello che oramai è passato alla cronaca cittadina come il “delitto della Sapienza”: Marta Russo – Di sicuro c’è solo che è morta (Amazon Edizioni acquistabile in formato cartaceo e in e-book esclusivamente sul web).
Quasi 700 pagine nelle quali i tre gradi di giudizio vengono vivisezionati allo scanner del giornalista di razza. Ce n’è per tutti: dal magistrato che in aula tuona: “È stato il diavolo ad armare la mano di Scattone! Il Maligno ha guidato quel colpo verso la testa di Marta perché attraverso il sacrificio di una giovane e innocente vittima potesse meglio impadronirsi dell’anima della persona che non aveva saputo resistere alla tentazione di cagionare il male senza alcuna ragione, sprofondando così nell’eterna dannazione” fino al rutilante circo mediatico che sforna perle come “la difesa sembra armata dalle peggiori intenzioni”.
Lo sconforto è la reazione che si prova alla constatazione che nessun editore italiano ha avuto il coraggio di pubblicare il testo, forse per paura o più semplicemente per incapacità. Lo sgomento, invece, avvolge il lettore alla fine della lettura della carte processuali:
Pezzuto conduce il lettore per mano a una conclusione sconvolgente su un caso che per larga parte dell'opinione pubblica resta ancora inspiegabile. Di sicuro c’è, davvero, solo che Marta Russo è morta e la Giustizia è moribonda.

Il link per acquistare il libro
https://www.amazon.it/MARTA-RUSSO-sicuro-solo-morta/dp/1545132348

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