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Roma
Mea culpa di Orfini dopo la batosta. "Il passato Pd non tornerà”

Matteo Orfini, il commissario del Pd romano, affida ad un lunghissimo post su facebook la riflessione sulla dura sconfitta romana, invitando a riconoscere gli errori fatti e a risanare lo strappo con la città, in particolare con la periferia.
“Abbiamo il dovere della sincerità. Che significa riconoscere gli errori, ma anche ricostruire i fatti con precisione per evitare di sbagliare ancora” scrive Orfini che ripercorre la sua esperienza romana. “Diciotto mesi fa sono diventato commissario di Roma. Non per un capriccio di Renzi. Ma perché la città era travolta dallo tsunami Mafia Capitale. Chiunque abbia un briciolo di onestà intellettuale sa che il nostro partito a Roma aveva una enorme responsabilità politica, ovvero quella di non essersi accorto di quanto stava accadendo nella città. Perché troppo preso da una guerriglia interna continua. E perché dopo la sconfitta di Rutelli non aveva saputo negli anni dell’opposizione ad Alemanno ricostruire un progetto per la città, abbandonandosi spesso a una logica consociativa che ha finito per farci molto ma molto male. Avevamo smesso di pensare alla città e ci eravamo chiusi al nostro interno. Non contava il consenso esterno, ma la ripartizione di quello interno. E per vincere quella sfida tutto era lecito: imbarcare ceto politico di destra, infeudare i circoli, truccare i congressi. Accumulare debiti che “tanto non si pagano mai”. Il Pd di Roma quando sono diventato commissario questo era. Ma non abbiamo dovuto affrontare solo la rigenerazione interna. C’era – e c’è ancora, enorme - un problema di rapporto con i romani”. Il commissario parla di uno scollamento drammatico con la periferia della città: “Oggi molti scoprono che non prendiamo voti nelle periferie. Lo segnalo dal primo giorno, da quando abbiamo cominciato andando al Laurentino 38. Roma si è strappata perché noi non abbiamo saputo ripensarla. Il nostro partito è pieno di gente che parla di perfierie pensando che siano Garbatella. Me lo sono sentito dire persino da qualche assessore, in questi mesi. Ecco, qui sta anche il limite più forte dell’esperienza Marino: aver pensato che Roma finisse con le Mura Aureliane”.
E poi lo sguardo al futuro, ben sapendo che è ormai apertissima per lui l'ipotesi dimissioni: “Recuperare il distacco che si è creato con una parte così larga della città non è un lavoro semplice. Serve consapevolezza, che in molti è mancata. Serve umiltà. Serve tempo. E serve un partito che sia strumento di questa battaglia. In questa campagna elettorale si è cominciato a vedere un partito nuovo, aperto a esperienze civiche, che ha saputo rimettersi in gioco e in discussione. Tanti candidati ci hanno provato con freschezza e passione, magari accettando di misurarsi per la prima volta proprio nel momento più difficile. Alcuni ce l’hanno fatta, altri no. Ma non dobbiamo disperdere il loro entusiasmo. Guai a fare l’errore del dopo dopo Rutelli, guai a chiuderci e a ripartire ancora una volta da tessere e preferenze. Perché questo vorrebbe dire riproporre il logoro schema della ricerca di un equilibrio interno per auto tutelarci, quando invece a noi serve riconnetterci con la città”.
Infine l'affondo: chi vuole tornare al passato lo dica subito. “Voglio essere esplicito: il problema oggi a Roma non è tornare a prima del commissariamento, ora che il commissariamento sta per terminare. Prima del commissariamento c’era il Pd di mafia capitale. Che è la ragione di fondo per cui siamo oggi a commentare una sconfitta. C’era un partito respingente, c’era un’amministrazione inadeguata, c’erano assessori che infrangevano le regole, più o meno consapevolmente. C’era il rapporto incestuoso con le municipalizzate, con gli interessi organizzati. Cose che in questi mesi abbiamo provato a spazzare via, pagando a volte un prezzo alto. Se qualcuno vuole tornare a quel modello di partito, lo dica chiaramente. Ma sappia che quel passato non tornerò mai. Perché oggi siamo debilitati e convalescenti. Prima eravamo nel pieno della malattia”.
Una riflessione che si conclude con il dovuto ringraziamento a colui che ci ha davvero messo la faccia: “Infine ci tengo a ringraziare Roberto Giachetti. Ieri ha detto che la sconfitta è solo sua. Non è vero. Insieme abbiamo combattuto, abbiamo raggiunto un ballottaggio non scontato. E abbiamo perso, di tanto. Ma l’abbiamo giocata fino all’ultimo minuto. Lui ci ha messo cuore, passione e impegno. E ci ha aiutato in questa battaglia difficilissima. E per questo gli dobbiamo solo dire grazie”.

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