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Roma
Pomezia, l'euro polo logistico ucciso da una torre cadente

di Sabrina La Stella

Si chiamava “Polo Logistico Intermodale” ed aveva già incassato l'approvazione del Consiglio dei Ministri nel 2015. Ma il sogno di un'Italia connessa da nord a sud con il resto d'Europa, con un corridoio su rotaia che correva de Berlino a Palermo ininterrottamente, partendo dalla lontana Stoccolma, rischia ora di infrangersi contro un muro di burocrazia.

 

L'aveva prescritto l'Europa nel lontano 2010, e il governo, con un provvedimento che recepiva le indicazioni europee di Maastricht in un piano datato 2015, era stato chiaro: in questo piano di sviluppo dei trasporti nazionale ed europei l'hub pontino era cruciale. Quando ecco che nel novembre 2017 il Ministero peri Beni Culturali e Ambientali rende operativo un vincolo paesaggistico su circa 2200 ettari del territorio dalla Sovrintendenza e tutto si blocca.

Oggi comune di Pomezia, Roma area metropolitana e imprenditori locali, riuniti nel “Comitato Interporto Pontino”, reagiscono compatti e spiegano, per bocca del loro presidente, Daniele Fichera, già presidente della commissione Attività Produttive della regione Lazio: "Lo sviluppo del sistema industriale di Pomezia, riferimento dell'area metropolitana di Roma, è di fondamentale importanza per lo sviluppo economico non solo del territorio laziale, ma di tutto il Paese. La piattaforma di interscambio delle merci del centro sud, pianificata sul territorio pontino, la cui vocazione industriale è da sempre riconfermata da Regione e Comune nei piani edificatori locali e regionali. Ecco perché questo importante impianto per scambi intermodali (ferrovia-gomma) e servizi logistici dell'area metropolitana romana era previsto dalla normativa europea già dal 2010 (col Trattato di Maastricht,) che richiedeva l'implemento delle infrastrutture italiane del centro sud e della rete ferroviaria, connettendo il territorio del centro sud al resto dell'Europa con un corridoio che correva su ferro. Il cosiddetto Rfc (Rail Freight Corridor)".

Il sì del Consiglio dei Ministri alla realizzazione di questo corridoio arriva già a luglio 2015, con annesse le copertura finanziarie necessarie. A portarlo sul tavolo di palazzo Chigi è l'allora ministro Del Rio, che disegna un piano nazionale per la logistica e i Trasporti in cui il nodo dell'interscambio delle merci di Roma, per tutto il centro sud e verso gli altri paesi europei e internazionali, è proprio Pomezia.

“Nel piano Del Rio era previsto un primo intervento, per l'allungamento dei binari di almeno 450 metri, ed un secondo, per arrivare ai 750, che sono lo standard previsto dall'Europa per tutte le infrastrutture intermodali – spiega Carmine Del Riccio, direttore Centro Trasporti e Logistica della Sapienza di Roma –. L'arrivo in rotaia nell'interscambio pontino è necessario per consentire ai treni merci di fare ingresso direttamente nell'hub senza ricorrere al trasporto su gomma: la matematica non è un'opinione, se si considera la lunghezza dei convogli merci e dello spazio necessario per rendere agevoli le manovre dell'unità di carico e scarico. È poi necessario anche rivedere la sagoma delle gallerie, per adeguarle al passaggio dei treni e dei camion”.

Il potenziamento del ferro con almeno 750 metri in più di rotaie, secondo quanto riferisce l'ingegnere Del Riccio, risulta approvato dal Consiglio dei Ministri già nel 2015. Un piano necessario, per collegare tutti i paesi Ue dalla Scandinavia fino al centro Italia, e per proseguire la corsa, permettendo alle merci di correre su rotaia per correre verso i porti del mezzogiorno attraverso 15 nodi intermodali, di cui Pomezia è fondamentale. Oggi, invece, la merce che arriva a Pomezia subisce un rallentamento con un passaggio obbligato su gomma.

A mettere sotto scacco il piano logistico europeo i paradossi della buracrazia, con una proposta di vincolo per i comuni di Ardea e Pomezia che parte dalle stanze dalla sovrintendenza il 18 maggio 2017. Proposta poi confermata con un provvedimento dal Ministero dei beni e delle attività culturali (Mibact) a novembre dello scorso anno (D.L. n. 276 del 2017), blindando di fatto, attraverso un vincolo paesaggistico, 2200 ettari del territorio pontino e bloccando di fatto la realizzazione di quest'opera strategica. Il vincolo ambientale, infatti, insiste anche su circa 100 ettari del piano di realizzazione della piattaforma di interscambio. Eppure il piano regolatore approvato all'unanimità dal comune di Pomezia era stato chiaro dando l'ok alla realizzazione dell'hub su un'area che ha, da sempre ,una destinazione industriale. “Il vincolo di fatto - spiega Massimo Tabacchiera, presidente Confapi – blocca l'economia non solo locale, ma di tutto il centro sud e frena il flusso di merci internazionale. Se si tiene conto degli interessi economici importanti che legano il nodo di Pomezia al mercato orientale, si può avere un'idea del danno erariale che il fallimento di questo progetto potrebbe provocare. Il territorio – spiega – è pronto ad ospitare lo sviluppo dell'interporto del centro-Italia per l'Europa da quasi dieci anni, e gli imprenditori sono pronti ad accogliere la sfida: sono già pronti investitori di importanti multinazionali”.

Se si parla poi di tutela dell'ambiente, questa preoccupazione avrebbe dovuto riguardare per primo il comune di Pomezia, che però si è espresso all'unanimità per un "sì" alla cura del ferro, visto che il treno è di gran lunga il mezzo meno impattante sull'ambiente, rispetto alla gomma, che inquina l'aria con i gas di scarico.

È stato infatti proprio il comune di Pomezia il primo a saltare sulla sedia davanti al provvedimento ministeriale, che ha cancellato con un sol colpo di spugna i piani di sviluppo industriale approvati. La giunta ha perfino tentato la carta del ricorso gerarchico, che però è stato respinto dal dicastero, a dispetto delle previsioni, che davano il dialogo tra i due per scontato, visto che le due amministrazioni politiche, locale e governativa, appartengono alla stessa casa: i cinque stelle.

E dal conto suo Roma area metropolitana ha tentato di contrastare il vincolo, dagli scranni del Campidoglio. Ma l'istituzione competente in materia è la Regione, che non ha reagito compatta con le altre due.

“Aspettiamo una presa di posizione della Regione Lazio che sblocchi la situazione – spiega il presidente del Comitato Daniele Fichera – visto che proprio la Pisana è competente del piano regolatore su questo territorio, e che già aveva approvato, a giugno 2017, all'unanimità, un emendamento al DEF programmatico triennale (Documento Economia e Finanza 2018-2020), con cui dare il via all'opera strategica, promettendo alla giunta anche i fondi necessari”.

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