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Roma
Pomezia, la torre sgarrupata che cancella 1000 posti di lavoro

di Fabio Carosi

 

Mille posti di lavoro quasi in fumo; 350 milioni di euro di investimenti delle Ferrovie dello Stato bloccati e quasi 100 milioni di euro di investimenti privati nel congelatore. Tutto per salvare una torre medioevale dimenticata e che è sopravvissuta all'incuria della Soprintendenza archeologica del Lazio, tant'è che è circondata da imponenti depositi di gas.

 

La sintesi dell'Italia che non va avanti, ma che arretra di fronte a una torre medioevale sgarrupata va in scena a Santa Palomba, confine tra i Comuni di Roma e Pomezia, polo industriale romano e sede di una mini piattaforma logistica ferroviaria di Rfi che l'Europa ci chiede di unire al reticolo europeo del trasporto ecosostenibile. Quello cioè senza camion su e giù per l'Europa ad inquinare col gasolio, ma affidato al binari ferroviari.

Vista da Pomezia, Santa Palomba è un pezzo sostanzioso del Piano Regolatore del Comune, tant'è che l'intera area ha una destinazione d'uso coerente con gli insediamenti produttivi e rappresenta una speranza per tornare a fare occupazione senza cemento, ma con le industrie.

Vista da Roma, Santa Palomba è la sede di industrie come la Johnon&Johnson, la Procter&Gamble la Angelini Farmaceutici, la Ferrero Nestlè e la Fiorucci, quasi tutte sospese su quella linea di confine trai due Comuni. Giganti che il Comune di Roma, la provincia prima e l'Area Metropolitana ora hanno abbandonato in una landa desolata, con strade crateri, servizi scarsi e una popolazione di prostitute che supera la somma dei residenti con gli occupati. Un mega supermercato in cui la nudità lato strada copre pure la segnaletica.

Dunque, la ferrovia c'è ma lo scalo merci deve essere raddoppiato; la panificazione prevede una destinazione d'uso corretta e i titolari dei terreni industriali hanno progettato un polo logistico a servizi dello scalo merci ma una torre aperta in due come una cozza di Taranto ha bloccato tutto.

Una torre che, secondo il Ministero dei Beni Culturali - che ha affidato la pratica medioevale alla Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio - va protetta a tutti i costi, “perché facente parte delle tenute storiche di Torre Maggiore, Valle Caia e altre della Campagna Romana”, e così le ha dichiarate di interesse pubblico, ponendo un vincolo perenne che impedisce qualsiasi attività umano, figuriamoci la “realizzazione di ulteriori manufatti a destinazione d'uso produttivo, commerciale e terziario”.

Insomma né case, né alberghi che non erano mai stati previsti dal Piano regolatore Comunale e del Piano Paesistico regionale tantomeno binari, capannoni e strade: tutte opere necessarie a far decollare il polo logistico di Roma e del sud.

 

Solo che ad un attento esame del decreto posto dal Ministero il 27 ottobre del 2017, contro il quale pende un ricorso al Tar con tanto di udienza fissata in autunno, viene da pensare che sia stato scritto a tavolino. Scrive infatti il Mibac: “L'area conserva ancora un insieme particolarmente armonico di elementi agricoli e naturali, scarsamente antropizzati se non dalla realizzazione nel corso del tempo di interessanti esempi di insediamenti agricoli, tipici della campagna romana...”.

Agricoli? Le immagini e il video realizzato con un drone che affaritaliani.it pubblica, evidenziano come una delle tre torri, quella di confine tra l'area industriale e ciò che resta della campagna romana, non solo è in uno stato di conservazione da “rudere insignificante”, ma è circondata per due lati da giganteschi depositi di carburanti a servizio dell'area industriale. Megabombole di gas che coprono lo skyline del ridere, dove regnano erbe alte, serpi e vasche da bagno usate come contenitori per l'acqua e abbeveratoi.

Dunque, secondo il Mibact, torri e casali ignorati per decenni, circondati dalle esigenze produttive dell'area Ex Cassa per il Mezzogiorno, sono di notevole interesse. Nessuno le restaura o le cura o le inserisce in un percorso culturale, ma vengono congelate. E con esse il progetto delle Ferrovie e l'ampliamento del polo logistico di Roma.

Salviamo le torri in rovina e blocchiamo lo sviluppo di un territorio. Sviluppo, perfettamente legale. Lo hanno deciso così il Comune di Pomezia e La Regione Lazio.

(1 puntata - segue)

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